“Qui non è Hollywood“, un titolo che così, crudo e nudo, non dice assolutamente nulla ma se invece si accostasse anche “Avetrana“, qualcuno tra i più esperti di true crime aprirebbe gli occhi e capirebbe di cosa stiamo parlando.
La serie tv, per l’appunto “Qui non è Hollywood”, narra il tragico omicidio di Sarah Scazzi, avvenuto ormai 15 anni fa, ma senza vedere un trailer o un episodio, non si comprenderebbe minimamente l’argomento. Scelta stilistica da rivedere? Decisione registica “astratta”? Semplice titolo uscito male? No, la risposta è solo una: censura.
Il programma è stato infatti privato del titolo originale che conteneva il nome del comune pugliese dove erano avvenuti i fatti, per volere del sindaco Antonio Iazzi. Decisione che ha scatenato un duello a distanza tra produzione e Comune.
“Allontanare i pregiudizi“
“L’idea è di associare la nostra comunità a un comportamento che fosse omertoso. Non c’è censura solo tutela dell’immagine” ha dichiarato il primo cittadino del Comune.
“La comunità di Avetrana – continua – ha da sempre cercato di allontanare da sé i tanti pregiudizi dettati dall’omicidio, dal momento che la tragedia destò sgomento nella collettività, interessata da una imponente risonanza mediatica, che stimolò l’ente a costituirsi parte civile nel processo penale a carico di Misseri Michele” e degli altri imputati“.
“Ricordiamo anche che nel luglio del 2022, con atto ufficiale della Regione Puglia, Avetrana è stata riconosciuta ‘Città d’Arte’ e quindi inserita nell’Elenco regionale dei comuni ad economia prevalentemente turistica. A ciò si aggiungano l’accoglienza, l’ospitalità, la generosità e altre peculiarità che da sempre caratterizzano la stessa cittadinanza“.
“Abbiamo raccontato i fatti“
Durante la presentazione della serie al Festa del cinema di Roma, Pippo Mezzapesa, regista del progetto, aveva escluso ogni “attacco” ad Avetrana, spiegando come la pellicola sia priva di dialoghi romanzati o “eccessivi” e da qui nasce proprio il titolo “non è Hollywood”, poiché “abbiamo raccontato dei fatti emersi dalla verità giudiziale, da tresentenze, e ci siamo limitati a quello“.
“Non abbiamo in alcun modo voluto spalancare, aprire altre strade. Non siamo giudici, non siamo avvocati, anche se ho studiato legge, e non siamo giornalisti di inchiesta. Mi interessava raccontare una storia per quello che è stato acclarato, per quello che è emerso“.
La verità oscurata
Il dettaglio del titolo per molti potrebbe sembrare una sciocchezza, una cesura che non danneggia minimamente il prodotto, ma è proprio qua che si cade in questo vortice rovinoso di tagli e modifiche per “non danneggiare l’immagine pubblica“. Perché d’altronde la richiesta del sindaco è mossa indiscutibilmente da questo movente, privando però l’identità di un prodotto.
Parlandoci chiaro, non sarà una serie tv a macchiare l’identità di un Comune e anzi tentando in tutti i modi di “cancellare” la vicenda, si finisce per ottenere la causa opposta. E allora è forse “giusto” dare la possibilità ad un regista di raccontare semplicemente i fatti per come sono avvenuti, indipendentemente che colpiscano la persona x o y, perché questo è avvenuto e questo va raccontato.
Inoltre proprio Avetrana è disegnata come la seconda vittima della vicenda, infestata da telecamere, riflettori e “turisti del macrabo”, in un paesino di 6mila abitanti soffocato da un circolo mediatico malato e opportunista.
E la serie evidenza questo aspetto, mettendosi nei panni dei poveri cittadini e descrivendo la nube di giornali e notizie che hanno soffocato un’intera comunità.
Dunque se da un lato il volto del paese deve, giustamente, non essere macchiato, d’altro dovrebbe essere riconosciuta l’ oggettività del prodotto e non gettarlo immediato nell’immondizia.
E quindi si potrebbe concludere che “L’Italia non è pronta per il true crime” ma forse abbiamo solo sbagliato l’approccio a questo mondo, non riuscendo a trovare un compromesso tra spettatore e produttore e chissà se da questa vicenda riusciremo finalmente a trovare un accordo o se il muro continuerà ad esistere.