Una riflessione a voce alta

Una riflessione a voce alta

Nella memoria di un passato, ormai remoto, riaffiora un discutere fra amici, che a quei tempi era ricorrente: “Ma chi te lo fa fare a caricarti di fatiche così pesanti e continue, invece di goderti la vita? Quanto ci guadagni?” – diceva l’uno, all’amico che si sottoponeva a continui allenamenti giornalieri – “Mi piace – rispondeva l’altro – non guadagno niente, lo faccio per sport“.

Della parola sport se ne abusa quanto e più, della parola “amore”, ma ambedue risultano false, o meglio, spesso lontane dal loro valore intrinseco. Per “amore” si uccide quasi ogni giorno, ma in effetti non è proprio amore ma esaltazione di sé, forte egocentrismo.

Forse sarà per questo che io all’ampollosità della parola amore, preferisco dire col cuore, un semplice ma significativo ti voglio bene. Allo stesso modo della parola sport se ne abusa in maniera esasperante. Una volta era qualcosa che si faceva per mero piacere e senza scopo di guadagno.

Direi che non si può inglobare nella parola “sport” un’attività compiuta con sacrifici, magari togliendo tempo ai propri svaghi e anche rimettendoci in spese per svolgerla, rispetto ai lauti guadagni, troppi guadagni. È veramente offensivo accostare questi due aspetti in uno solo. Ciò che guadagna in un mese un atleta di alto livello, nel calcio o nella pallacanestro, o nel tennis, è forse molto di più del mio guadagno in tutto la mia vita; non è possibile!

Sì! I tempi cambiano, ma l’uomo no! Egli, rispetto agli altri animali, è il più intelligente, ma anche il più opportunista, il più ambizioso, il più arrivista, il più… il più… il più, ma di aspetti negativi. Ricordate i giochi dell’antica Grecia? Le regole erano ferree, ma poco a poco ai campioni non veniva data solo la corona simbolica del vincitore, ma anche premi in natura, sempre più vistosi e costosi ed infine il campione veniva coccolato, rifocillato osannato e……”comprato”. Infatti i vari gruppi se li contendevano offrendo più di quanto gli dava l’altro: un’offerta al continuo rialzo.

Si arrivò anche al punto di iniziare a doparsi. Si racconta di un signore che invitava il proprio campione a trascorrere un po’ di tempo nella sua isola, dove cresceva una pianta, il laserpizio, che aveva il potere di fare aumentare la prestazione. Insomma, la colpa di tutto è nell’uomo.

Noi stiamo vivendo un profondo e continuo cambiamento dello sport. Dall’assalto dei terroristi agli atleti israeliani, nell’Olimpiade del 1972, a Monaco, alla recente Olimpiade francese, molto è cambiato; ma non abbiamo ancora toccato il fondo. La grande confusione che si è pian piano creata nello sport, sta portando ad una drastica diversificazione delle sue regole.

Tutta questa confusione, che piace alla maggioranza delle persone, è stata causata dall’intromissione dei grandi interessi finanziari e politici che hanno fagocitato lo sport, trasformandolo in una numerosa serie di aspetti lavorativi con una continua aggressione ai suoi vecchi valori. Comandano i soldi su tutto.

In certe attività sportive non è l’uomo che detta le regole, ma il denaro. L’atleta è un nome finché dura, ma alla prima flessione, viene rimpiazzato senza pietà. In certi sport di squadra che vanno per la maggiore, l’atleta è solo un numero al soldo dei finanzieri; viene ricoperto di soldi, provenienti da tutte le parti, ma produce anche gravi effetti deleteri, causando numerosissimi infortuni per i grossi carichi di lavoro cui gli atleti sono sottoposti.

Proprio l’altro giorno, alla radio si discuteva dei numerosi impegni che un calciatore è costretto a fare durante la settimana, ma quando si osannava all’aumento delle partite fra club europei, questi grandi soloni dello sport, non pensavano che sarebbe accaduto tutto ciò? Ora stanno sorgendo i problemi, come era facile immaginare. E l’atleta? Che se ne frega di lui? Egli percepisce somme che vanno oltre la comprensione dell’uomo normale. L’atleta è uno schiavo d’oro, ma a lui non è consentito interferire. Oggi sembra quasi di assistere agli scontri nelle antiche arene.

Tempo fa, diversificavo l’attività fra gli sport individuali e di squadra, nell’impostazione dei piani di allenamento e di come si punta, in modo diverso, su uno o due picchi di rendimento nell’arco dell’anno, nelle attività individuali, rispetto ai giochi sportivi. Ma come si fa in uno sport come il tennis, che pur essendo un’attività individuale, dove l’atleta, per guadagnare o migliorare la propria classifica, è costretto a lottare durante tutta la stagione agonistica, ad impegni continui e serrati che lasciano poco spazio agli allenamenti? Bene! Il campione più gareggia e più guadagna, ma il fatto negativo, che ci spinge a riflettere, è che lo stesso aspetto si attua anche per i ragazzini e per i giovani. Non c’è bisogno di ulteriori commenti.

In definitiva, io oggi mi chiedo se è giusto chiamare queste attività sport o più semplicemente attività fisiche varie che hanno due scopi, far divertire la gente e arricchirsi quanto più si può, senza tener conto delle conseguenze che ne derivano. Sì, facciamo sport, ma quale sport? Quello che serve all’uomo o quello che serve alle multinazionali?

A cura di Alfio Cazzetta