Il caso Sinner sta coinvolgendo con pareri diversi tutti coloro che si interessano di sport. Io non voglio aggiungermi a nessuna delle fazioni. È certo che sono le enormi cifre che ruotano attorno ad alcuni sport e che tracciano in modo significativo, non solo la vita sportiva ma anche quella sociale.
Ciò che oggi sta avvenendo nello sport, in modo più o meno palese, mi ricorda la degenerazione dei giochi olimpici nell’antica Grecia. È ormai evidente che l’uomo ritorna in maniera periodica, a ripetere gli stessi errori: antico e moderno si somigliano, adeguandosi alle nuove necessità e/o mentalità, ma che rispecchiano la comune bramosia di interessi finanziari. Ormai quando si parla di grandissime somme di denaro, si fa riferimento a determinati sport di squadra, ove un giorno di lavoro di un grande calciatore procura un rendimento che supera ciò che un normale individuo può ottenere in tutta una vita. Non esiste più controllo, né giustificazione; l’uomo, con il proprio raziocinio riesce a trovare scappatoie e rendere razionali anche le sue malefatte.
Vi è una continua lotta fra il doping e l’antidoping, dove la vittoria è, purtroppo, a vantaggio della frode.
Ora il caso Sinner sta coinvolgendo tutto e tutti. Colpevolisti e innocentisti si battono, coinvolgendo anche la giustizia sportiva. Certo è che se esistono delle regole, giuste o meno giuste, chiare o poco chiare, è bene che queste vengano applicate a tutti, in egual misura. Mi sembra strano tutto il fatto, come mi sembra una mossa poco significativa e altrettanto strana, il licenziamento del fisioterapista e del preparatore. L’uno sembra aver agito in modo inconsapevole (un incidente non voluto), ma perché anche il preparatore? Perché non anche il tecnico? Se ciò sia stato causato da un fattore accidentale, del fisioterapista, perché anche il preparatore? Allora questi personaggi sapevano o no ciò che stava succedendo e all’insaputa anche del tecnico? Certamente questi interrogativi, per un fattore di giustizia, non possono passare senza gli opportuni chiarimenti. E allora il pensiero va a Pantani (al quale fu impedito di salire in bici per andare a vincere il giro d’Italia, sub iudice), al marciatore Schwazer, come a tantissimi altri. Nei casi specifici, Pantani fu vittima della criminalità organizzata (grossissimi interessi che ruotavano in quel giro d’Italia) mentre il secondo fu avversato da chi voleva colpire, non tanto lui, quanto il suo allenatore Sandro Donati che facendo parte della squadra antidoping, con la sua intransigenza aveva colpito parecchi atleti che avevano fatto del doping una loro arma.
Certamente io, non essendo un esperto del settore, nel caso Sinner, non mi permetto di dare giudizi ma di vedere che si faccia una certa chiarezza sui fatti. Ciò che invece vorrei far notare e di cui non si fa cenno, è qualcosa che riguarda il mondo del tennis. La paura è che sull’onda dei successi che si stanno ottenendo in questa disciplina, vengano oscurate le manchevolezze enormi che ne fanno una fucina di disadattati, frustrati e infortunati del mondo sportivo. Il problema grave è che la gente viene attratta dai risultati di vertice, ma non conosce il prezzo pagato da una massa di giovani che affrontano lo sport senza rendersi conto che questo è oggi diventato un mestiere che premia moltissimo i pochi, lasciando una scia di “morti” di cui nessuno parla o si accorge. Ecco perché io dico che è anacronistico parlare di sport, ma di mestiere, ben pagato per pochissimi, a spese della massa che ne subisce l’aspetto negativo. Cosa c’entra la problematica del doping, con tutto ciò? Il doping è il risultato, ma la causa (meglio, le cause) è di una mentalità perversa con cui si affronta oggi, lo sport; in prima linea, gli enormi guadagni che gli atleti d’élite, incamerano e per i quali sono disposti alla frode, pur sapendo che tutto ciò mina la loro stessa salute e a sopportare i traumi che normalmente li affliggono.
Abbiamo già avuto modo di dire come una differenza fra sport individuali e sport di squadra, consiste nel fatto che, mentre nei primi, in genere si ricerca un periodo (o due) di massima forma, ma che si mantiene per pochissimo tempo, nei secondi si lavora in modo più leggero, perché lo stato di una buona condizione fisica e mentale si possa mantenere per un tempo più lungo.
Il tennis sfugge a questa regola; infatti, da sport individuale, si comporta quasi come uno sport di squadra, ma mantenendo le caratteristiche impegnative di uno sport individuale. Affrontare questo argomento, certamente richiederebbe tempi lunghi per sviscerare tutta la problematica; a me oggi basta dire che il tennis è uno degli sport pericolosi, se non affrontato con molta razionalità. Un tennista di altissimo livello, è costretto ad affrontare mesi di attività altamente agonistica in una successione incredibile che non dà tregua alle strutture e alla mente. La grandissima partecipazione ai tornei sparsi per il mondo e che si succedono in modo continua e programmato, fanno di questo sport uno dei più incriminati del regno sportivo. Non è l’accumulo dell’acido lattico o la ricostituzione delle sostanze energetiche, il problema. Bisogna tener conto che l’impegno e la lunghezza delle partite, incidono molto sulle strutture che non riescono a recuperare nel breve tempo a disposizione. Nei muscoli, moltissime miofibrille sono state distrutte ed il tempo della loro ricostruzione è abbastanza lento; la stessa cosa succede alle ossa ed ai capi articolari che sono stati posti a gravose sollecitazioni. Il succedersi continuo di questi sconvolgimenti, si rivelano con infortuni di varia natura e di diversa gravità. A questi traumi, l’atleta deve ricorrere a terapie drastiche per poter continuare la serie di tornei e partite. In questa richiesta di forzato recupero a volte si è costretti ad usare sostanze più o meno lecite, peggiorando la situazione. Bisogna anche considerare la capacità mentale nel sostenere impegni così gravosi: l’atleta diventa distratto, irritabile, svogliato e tende al rigetto. Ma perché allora l’équipe tecnica non seleziona gli impegni? La risposta è semplice e sconvolgente: l’atleta per mantenere o migliorare la propria classifica mondiale, deve partecipare ai vari tornei sparsi per il mondo e nell’anno. E allora? Si tende a fare di tutto per riuscire a sostenere tante fatiche. È possibile che ciò possa interessare un professionista che gareggia per lauti guadagni e che a più tornei egli partecipa, più guadagna. La cosa che lascia perplessi è che questo sistema viene attuato anche con i giovani, diventando una vera fucina di traumi fisici e psichici. Non è tanto lo sport, ma come lo si fa, che lo fa diventare pericoloso.
Articolo a cura di Alfio Cazzetta