È durato appena una quarantina di secondi l’ottavo di finale di pugilato femminile tra l’italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Al primo colpo ricevuto al volto, l’atleta azzurra decide di abbandonare l’incontro, lasciandosi andare ad un pianto sconfortato al centro del ring.
L’incontro ha attirato un grande clamore mediatico in tutto il mondo, dividendo il pubblico e ottenendo pareri discordanti. La polemica riguarda il transgenderismo e le differenze di sviluppo sessuale, temi non ancora ben disciplinati a livello legislativo e regolamentare. Khelif, erroneamente etichettata come sportiva transgender, soffre di iperandrogismo, una condizione che causa livelli elevati di testosterone nelle donne.
Questa condizione ha sollevato domande sull’equità della competizione. Il Comitato Internazionale Olimpico (CIO) promuove l’inclusività e la non discriminazione, ma la mancanza di regole certe crea confusione. Khelif era stata esclusa dai campionati mondiali di boxe femminile IBA per non aver superato le verifiche ormonali, ma è stata ammessa ai Giochi di Parigi nonostante la condizione immutata.
La situazione evidenzia la necessità di una legislazione omogenea tra i Paesi e le Federazioni, per tutelare tutti gli atleti e garantire regole uniformi rispettando i valori dell’inclusività, della diversità e delle pari opportunità.
Articolo a cura degli avvocati Elena Cassella & Roberto Palazzo
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