SICILIA – La Siccità, in Sicilia, sta per diventare una vera piaga sociale per l’intera Isola. Addirittura, con l’aggiunta del caldo afoso, la Vendemmia, che fino allo scorso anno iniziava a settembre, quest’anno è già iniziata. Allevamenti di bestiame, per mancanza del primo alimento di vita, rischiano la decimazione, a partire dalle vacche, pecore e capre che vengono portate al macello, per non farle morire di sete. Centri urbani, piccoli, medi e grandi, con l’acqua potabile razionata e persino fatta arrivare con autobotti. Una situazione più che disastrosa.
L’espressione “piove, governo ladro!”, oggi, magari, viene ricordata, ma questa volta in tono negativo: “Non piove, governo ladro!”. Sì, stiamo distruggendo il nostro habitat con l’emissione di anidride carbonica fuori controllo, ma, a parte le battute del secolo scorso, la situazione è veramente drammatica, specie se si pensa, che sull’intera Isola, laghi, fiumi, bacini artificiali mostrano ferite profonde, con fondali a secco e tali da far venire la pelle d’oca a chi guarda.
La notizia che il Simeto, il fiume che nasce dalle Madonie e arriva fino al Golfo di Catania, non sfocia più a mare. La poca acqua che ancora sgorga dalle sorgenti se la rubano nottetempo gli agricoltori che cercano con ogni mezzo di fermare la morte degli aranceti e l’avanzata del deserto. Il lago di Pergusa, crocevia per le migrazioni degli uccelli, provenienti dall’Africa, oggi è completamente a secco; del lago naturale in provincia di Enna, mito della Magna Grecia, è rimasta solo una pozza d’acqua stagnante. Per il resto, il terreno secco è spaccato dal sole e dalla mancanza di pioggia. Una situazione, a dir poco allarmante.
Per capirne di più, andiamo indietro nel tempo.
Nell’aprile del 1893, la Sicilia venne minacciata da un disastro per siccità. Candele consacrate vennero bruciate nelle chiese, notte e giorno, rami di palma, benedetti in occasione delle festività della Domenica delle Palme, vennero appesi sugli alberi nelle campagne. A Salaparuta, in provincia di Trapani, secondo antichissime usanze, la polvere raccolta nelle chiese, venne sparsa per i campi; A Nicosia, in provincia di Enna, gli abitanti, a piedi scalzi e a capo scoperto nel portare i crocifissi per tutti i quartieri, si flagellarono l’un l’altro con fruste di ferro, ma invano, il miracolo della pioggia non avvenne. I siciliani continuarono ancora con Sante Messe, vespri, concerti, illuminazioni con fiaccole, girandole, ma invano. Alla fine i contadini cominciarono a perdere la pazienza; la maggior parte delle statue, raffiguranti i santi protettori furono banditi; a Palermo scaricarono San Giuseppe in un giardino perché vedesse da sé lo stato delle piante e giurarono di lasciarlo lì sotto il sole, finché non arrivasse la pioggia. Altri santi furono voltati con la faccia contro il muro, come dei bambini in castigo; altri, spogliati dei loro paramenti, vennero portati lontano dalle loro chiese, minacciati e calati negli abbeveratoi degli animali. A Caltanissetta, a San Michele Arcangelo, al quale sono tutt’ora profondamente devoti gli abitanti, secondo la leggenda questo era apparso a un frate cappuccino annunciando che avrebbe protetto la città, vennero strappate le ali d’oro dalle spalle e sostituite con ali di cartone; ed ancora gli venne tolto, inoltre, il bellissimo manto color porpora per coprirlo con degli stracci. A Licata, in provincia di Agrigento, il santo patrono Sant’Angelo venne ridotto ancora peggio e cioè spogliato di tutti i vestiti, ingiuriato, messo in catene e venne persino minacciato di essere impiccato, mostrando i pugni e al grido: “O fai chioviri, o t’ affucamu!”.
Il racconto, visto oggi, esprime grande umorismo per il forte carattere dei siciliani, ma è necessario evidenziare l’attaccamento verso i santi. Il patrono, il santo protettore, in Sicilia, esprime il senso di attaccamento e di fiducia; si pensi alla festa di Santa Rosalia a Palermo e a quella di Sant’Agata a Catania, per non parlare della festa di Sant’Alfio con centinaia di migliaia di fedeli partecipanti. Il valore del grado di fiducia verso i santi, sale a dismisura e quando si chiede qualcosa per arginare un mal comune, il patrono o la patrona vengono identificate come il padrino o la madrina di tutti a cui chiedere protezione e non c’è rispetto che tenga, specie in un contesto come il 19° secolo, quando l’acqua piovana rappresentava il primo elemento condizionatore della vita. Ma oggi è cambiato qualcosa? Proprio Nooo!
Oggi è proprio il caso di dare la colpa a noi stessi e pensiamo seriamente di affrontare il problema della siccità. Lasciamo in pace i santi, gli angeli e gli arcangeli, e chiediamo a Sala d’Ercole e a Palazzo d’Orleans di prendere gli opportuni provvedimenti di difesa e della conservazione delle acque, sia per l’agricoltura, per gli animali, ed anche per la vita umana.