Dubbi e polemiche su Netflix: il caso Yara torna a far parlar di sé

Dubbi e polemiche su Netflix: il caso Yara torna a far parlar di sé

ITALIA – Dubbi, incertezze, mistero. Il caso di Yara Gambirasio è tornato sotto i riflettori mediatici con l’uscita della docuserie marchiata NetflixIl caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio  trascinando con sé tante, tantissime polemiche e nuove teorie.

Voce all’imputato

Ciò che ha più fatto clamore è la scelta registica di dar voce a Massimo Bossetti, accusato numero uno dell’episodio e che da sempre professa la sua innocenza.

E proprio su questi due elementi ruota “l’intervista a Bossetti”, con prove e inediti, cercando di scalfire quel dogma di colpevolezza sentenziato negli anni e proponendo un’altra storia.

Si tenta durante l’intervento una sorta di catarsi emotiva verso chi guarda, con un imputato che vuole strapparsi di dosso l’etichetta di “mostro”, apparendo su schermo come “uomo” e vittima di un sistema che l’avrebbe incastrato.

La prova regina del Dna di Bossetti sugli slip di Yara però resta e mettono all’angolo quell’innocenza tanto rivendicata, che se pur non smentita del tutto, di certo vede poca, anzi, pochissima luce.

Un lavoro durato 10 anni

Dietro la regia della serie, Gianluca Neri, per anni alla ricerca di verità sul caso, conservando nel proprio cassetto appunti, video e testimonianze.

Ed è da quegli appunti su penna che la serie prende vita, un manifesto di decennale lavoro, nella disperata e unica voglia di dare giustiza a Yara.

I dubbi sulla serie

Chi ha avuto modo di vedere il documentario tuttavia ha potuto notare incertezze e troppi dubbi lasciati sospesi o chiusi a metà.

Di fatto l’opera pecca da un punto di vista “giornalistico” provando a catturare l’animo degli spettatori con un’irrazionalità che sovrasta per certi versi la “freddezza” oggettiva delle prove.

Ai microfoni del Fatto Quotidiano, il professor Emiliano Giardina, associato di Genetica all’Università romana di Tor Vergata e intervistato nella serie, ha evidenziato questa “parzialità” nell’esposizione dei fatti: “L’ho vista e posso dire che l’ho trovata parziale. E non per il fatto che delle mie spiegazioni hanno preso soltanto la parte più banale“.

Hanno mandato in onda solo pochi frammenti della mia intervista. Ma, ripeto, non è questa la parzialità. Ovviamente parlo della parte scientifica. Partiamo dall’irripetibilità dell’esame del Dna rinvenuto sulle mutandine di Yara, su cui tanto la difesa ha dato battaglia“.

Intanto la non ripetizione dell’accertamento è la regola, non l’eccezione. Il Codice di procedura penale distingue infatti tra accertamenti ripetibili e irripetibili: ci sono valutazioni che possono essere fatte una sola volta, perché magari il reperto si distrugge o perché le tracce sono talmente esigue da rendere impossibile la ripetibilità“.

L’impatto mediatico

Su un caso ormai considerato chiuso è piombata adesso un’ondata social che ha travolto e cambiato il pensiero di molti. Con investigatori improvvisati e detective senza prove, le piattaforme web sono diventate “uffici” per chi dopo aver visto la serie ha fornito e cambiato la propria “pista”.

Tra chi accusa la famiglia Locatelli, chi è certo della colpevolezza di Bossetti e chi invece ne invoca la scarcerazione immediata, una cosa resta certa: la verità, quella pura e bianca, resterà per sempre incisa nelle cicatrici e nell’animo della piccola Yara.

Cicatrici che vanno oltre ogni teoria, ogni complotto, ogni tribunale e che purtroppo resteranno per sempre seppellite in quella gelida notte del 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra.