“Virdimura” di Simona Lo Iacono

“Virdimura” di Simona Lo Iacono

Figlia di una clessidra lontana parente del calendario che nel tempo ha perduto uno dopo l’altro i minuti di sabbia, Virdimura è una donna che visse di sé e che oggi ritorna a vivere nel romanzo storico di Simona Lo Iacono, scrittrice e magistrato presso la corte d’appello di Catania.
La figura della donna nata nel 1376 e che allo status di femmina devota all’uomo aggiunse la pratica dell’arte medica fino a quel momento riservata ai maschi sovrani assoluti del regno domestico.
Ma una fimmina non puote essere dutturissa“.
Maschio era Urìa, padre di Virdimura, medico apprezzato in tutta Catania per le sue doti umane, appassionato e scrupoloso nell’uso delle erbe medicinali da somministrare ai malati. Urìa correva al capezzale del povero disgraziato con una borsa piena di medicamenti per ogni morbo entrato nella carne o nelle viscere della mente. Quando la ragione veniva percossa da chissà quale mano matrigna, Urìa arricchiva la sua esperienza con nuove, ardite sperimentazioni.
La medicina non esige bravura. Solo coraggio“.
Orfana di madre morta di parto, a Virdimura venne dato un nome in comunione “col muschio verde che affiora tenace dalle pietre“. Ma Virdimura fu anche un’ebrea divisa a metà tra la rotta nemica del pregiudizio che crea distanze, e l’ideale che cresce e persevera nella sete di conoscenza preclusa a una donna.
Il secolo che portò in grembo “la dutturissa” devota al compimento della missione sulla scia del nobile esempio paterno, fu costretto ad ascoltare la voce della passione medica dalle labbra di una donna figlia e moglie di due uomini illuminati dalla scienza.
Virdimura non conosceva cielo di luna perché passava le notti chiusa in laboratorio tra unguenti, anestetici, piante dagli effetti terapeutici, ferri per risanare verginitate trafitta di donne visitate e operate in segreto pur di  salvarsi dal ripudio dell’uomo.
Nello studio degli scritti scientifici del padre, Virdimura si cibava di nuove conoscenze efficaci nella cura delle condanne umane.
Alla giovane donna si unì la passione gemella di Pasquale, figlio di Josef de Medico, un vecchio chirurgo esperto in salassi e in saggezza con cui il padre di Virdimura era stato in Oriente.
Dopo il padre Urìa, quel nuovo amico era l’unico contatto che con lei condivideva l’uguale spirito promesso alla professione medica.
Era intatto, Pasquale de Medico, come qualcuno che ha appena assaggiato la luce. Era pieno di solitudine“.
Quando il maestro Urìa fu accusato di praticare magia dell’occulto, Virdimura era già in possesso di una buona competenza dell’arte chirurgica. Mancava solo il sigillo ufficiale. Prima di essere proclamata “dutturissa” incontrò non pochi ostacoli nei sacerdoti che l’accusavano di non frequentare il tempio, di non praticare l’arte della purificazione e di non aver osservato il lutto per il padre.
Virdimura replicò che Urìa non era morto ma solo scomparso. Loro risposero bendandosi gli occhi e le orecchie, perché nessun suono di quella che consideravano “stria” (strega) giungesse loro.
Cerchiamo tale Virdimura, non vedova, non ammogliata, non figlia, non sacerdotessa, non santa“.
Virdimura fu la prima donna ebrea siciliana autorizzata a esercitare la medicina e la chirurgia. Un documento del 7 novembre 1376 conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo pubblica la richiesta di Virdimura di praticare l’arte medica con maggior cura dei poveri e dei bisognosi. Dopo di lei altre donne ebree fecero domanda di licenza medica soprattutto nel campo della ginecologia e dell’ostetricia a protezione della salute femminile.
Con la storia della vita privata e professionale di Virdimura, Simona Lo Iacono tratteggia con meticolosa cura la Catania ebraica governata dai medici della corte reale.
La scrittura intinta nella meraviglia femminile segue il romanzoLa tigre di Noto” in cui la dottoressa Lo Iacono racconta le vicende della siciliana Marianna Ciccone laureata in matematica e successivamente in fisica presso l’Università di Pisa.
Storie di donne del Sud illuminate da un superiore ingegno che però crea ostacolo al progetto di vita. Donne che, in quanto tali, non poterono esercitare la missione instillata nel proprio destino se non dopo una lunga lotta con il potere maschile, padrone incontrastato delle caviglie sottili.
Mai libere da catene invisibili, le donne furono figlie, spose, madri di un’epoca che volle la loro sorte manipolata nel breve perimetro vitale concesso.
Dai loro ieri in poi, ad ogni discriminazione si è opposta una determinazione impensabile nella culla, nel tempo addestrata alla guerra con il pregiudizio.
Questo fu ed è ancora il messaggio di Virdimura alle donne educate a vivere di sè, perfino in presenza di una coperta affettiva pronta a consolare un ricordo rinvenuto nelle giornate di luna. Quali regine della volontà, le sorelle discendenti di Virdimura hanno superato molte barriere invise alla giustizia, altre stanno ancora allenando la voce per la difesa dei propri diritti.
sara