I 20 km di marcia e la strana respirazione di Perseus Karlstrom

I 20 km di marcia e la strana respirazione di Perseus Karlstrom

Nella gara dei 20km di marcia ai campionati europei di atletica leggera, nella parte finale della gara, abbiamo tutti potuto natare come ha fatto un attacco deciso prendendo seppur di poco, il comando della gara.

Ciò che ha attirato l’attenzione della gente che assisteva in TV e degli stessi commentatori, era il modo di respirare rumoroso e come affannoso, dell’atleta. I commentatori televisivi erano meravigliati del fatto e pensavano ad un imminente crollo dell’atleta, mente invece lui progrediva deciso, lasciando la compagnia del rivale più prossimo. Come spiegare tutto ciò?

L’importanza della respirazione

Quando affermo che tutte le attività sportive si fondano sullo stesso ceppo motorio, dico qualcosa di semplice ma di estrema importanza. Non c’è una metodologia per ogni sport, ma una sola metodologia da applicare con opportune varianti non solo al tipo di sport, ma al tipo di atleta. 

“Respirare correttamente è alla base di qualsiasi attività fisica. Molti atleti si servono delle tecniche di rilassamento per acquistare equilibrio e autocontrollo prima di una gara”. (Giusy Capozzi) La respirazione è un’attività fondamentale per poter affrontare sforzi più o meno intensi o più o meno prolungati. 

La respirazione ha aspetti biologici e fisiologici, nonché aspetti psicologici. Ad una riflessione più approfondita, ci si rende conto che, pur partendo da una base fisiologica e biomeccanica comune, ogni disciplina richiede una particolare tecnica respiratoria per adattamenti particolari sia nell’ampiezza sia nella frequenza degli atti respiratori. Questi gli aspetti difficili e delicati di un gesto così apparentemente naturale.

“Da un punto di vista fisiologico la respirazione rappresenta quella funzione biologica che ci consente di scambiare aria con l’ambiente circostante, in particolare attraverso l’immissione di ossigeno per portarlo attraverso il sangue ai tessuti e l’espulsione di anidride carbonica prodotta dal metabolismo delle cellule. Tale processo ha inizio fin dal momento della nascita e prosegue poi per il resto della vita”. (dott. Fabio Marino)

Saper gestire la respirazione è importante e spesso fondamentale per migliorare la performance sia nell’aspetto fisiologica che in quello meccanico. La giusta respirazione per ogni tipo di attività. Assistiamo a una diversa attenzione, legata più che altro all’importanza in un determinato sport, rispetto ad altre discipline che, pur riconoscendone l’importanza, non la “attenzionano” come si dovrebbe.

La respirazione

Il complesso respiratorio è legato sia agli scambi gassosi, sia all’azione meccanica. Infatti le costole ed i muscoli principali ed ausiliari formano un solido punto di appoggio, perché si possa attuare uno sforzo con altre parti del corpo. La respirazione, malgrado sia sotto il controllo del sistema nervoso involontario, può essere rallentata nella frequenza (bradipnea) o aumentato (iperpnea), diminuita o aumentata nell’ampiezza, fermata per un certo periodo di tempo (apnea) sia in fase inspiratoria (apnea inspiratoria) che in fase espiratoria (apnea espiratoria), variata nella proporzione d’uso fra parte toracica e addominale. 

Nella fase inspiratoria, il diaframma (a forma di cupola rivolta in alto), contraendosi si abbassa premendo sui visceri e ampliando verso il basso la cavità toracica. Allo stesso tempo, i muscoli intercostali esterni fanno ruotare in alto le costole e lo sternocleidomastoideo e gli altri muscoli ausiliari le tirano in alto, ampliando la gabbia toracica nel diametro trasverso. 

L’atto respiratorio può essere bloccato in una sua qualsiasi fase, chiudendo la glottide, per un certo periodo di tempo (apnea), sia in fase inspiratoria (apnea inspiratoria) che in fase espiratoria (apnea espiratoria). Certamente l’apnea espiratoria è molto più difficile da mantenere, rispetto a quella inspiratoria.

Durante azioni che richiedono uno sforzo massimale o di esplosività, il blocco toracico-addominale, attraverso apnea inspiratoria (mai massima) serve da sostegno. Questa base è tanto importante, quanto maggiore è l’entità dello sforzo o la sua esplosività. Ma anche la velocità degli atti respiratori debbono essere controllati opportunamente. Anche durante lo sforzo, l’ampiezza della respirazione non è mai massima. Con l’aumentare dell’impegno, aumenta la richiesta di ossigeno e di conseguenza vi è un aumento progressivo sia della frequenza che dell’ampiezza dell’atto respiratorio. Questa crescita, direttamente proporzionale all’entità dello sforzo, si ha fino ad un punto critico, al di là del quale il numero degli atti respiratori cresce in proporzione maggiore allo sforzo prodotto: si comincia allora ad entrare nella fase di affanno, che è la soglia della vera e propria dispnea da sforzo nella quale l’atto respiratorio, alla grandissima richiesta di ossigeno, non può più rispondere con un rapporto ottimale ampiezza-frequenza, aumenta ulteriormente in frequenza, a danno dell’economia respiratoria e peggiorando la situazione. La crescita dell’ampiezza si ha comunque fino ad un certo limite, al di là del quale la ricerca di un’ulteriore ampiezza dell’atto respiratorio porterebbe ad un effetto antieconomico. La massima ampiezza dell’atto respiratorio non si verifica mai sotto sforzo ma solo dopo esso e con un forte impegno dei muscoli ausiliari che obbligano alla massima espirazione e alla successiva massima inspirazione (massima iperventilazione). Ma anche questo massimo atto respiratorio dovrà diminuire e quindi cessare progressivamente.

È possibile migliorare la respirazione?

È certamente un’affermazione esatta, ma il ritmo respiratorio, e le sue variazioni durante l’esercitazione, sono in stretta dipendenza dal tipo di esercizio che si sta svolgendo. Nelle diverse azioni tecniche delle diverse attività sportive (azioni cicliche, lanci, salti, azioni di squadra, combattimento), vi sono situazioni in cui è necessario sincronizzare il ritmo respiratorio con l’azione che si sta eseguendo (ciclica o no), mentre in parecchie altre occasioni, non solo non è necessario, ma è più opportuno lasciare che i due aspetti vadano avanti in modo indipendente; in effetti il ritmo respiratorio è legato strettamente all’azione tecnica, ma se in alcune vi è un intimo legame (nuoto, canottaggio ecc), per altre ciò non si verifica, ma si adatta in base alle esigenze dell’azione.

Nella corsa, sci di fondo, ciclismo su strada, ritengo che né nella velocità, né nelle gare di lunga distanza, si debba collegare il ritmo respiratorio al numero dei passi o pedalate, o meglio, non vi è una cadenza prestabilita fra atti respiratori e numero dei passi, pur essendovi un collegamento, a volte stretto. Nel ciclismo su pista di media e lunga distanza (gare ad inseguimento su pista e nei tentativi dell’ora su pista), l’atleta, dopo l’inizio coordina il respiro con il numero di pedalate.

Nella velocità dell’atletica, come abbiamo visto, dopo una fase di inspirazione (al pronti), segue una brevissima fase di apnea inspiratoria in attesa del via che vede l’atleta “scaricare” l’aria con continuità e veemenza, nella fase di accelerazione, poi seguiranno pochissimi atti respiratori (quasi in apnea); non vi è quindi una correlazione fra il numero di passi e gli atti respiratori. Se nella gara di velocità ciò sembra ovvio, si deve pur riflettere che la frequenza respiratoria, anche nelle distanze lunghe e continue, vi sia una cadenza respiratoria e di passi, molto concorde, una volta assestato il ritmo di gara (ciò è più evidente nelle attività cicliche di lunga durata come maratona, ciclismo su strada, canottaggio ecc). Ma ciò non significa che l’atleta sia legato ad un collegamento ricercato; non esiste un certo numero di spinte in corrispondenza all’atto respiratorio; frequenza e numero di atti respiratori al minuto, vengono coordinati in modo individuale, ma anche individualmente non vi è una regola in assoluto, ma degli adattamenti alle situazioni.

Bisogna precisare che pur nelle gare lunghe e continue, la frequenza dei passi non è sempre uniforme, ma può variare a causa dei continui adattamenti dovuti allo svolgimento della gara stessa (posizione, variazioni, risposta ad allunghi, ecc.), anche se si tratta di una gara di maratona.  In questa disciplina vige la regola di tenere una velocità di corsa il più possibile uniforme, per l’economia di gara, ma vi sono situazioni in cui, pur essendo uguale la velocità, viene variato il numero dei passi; è difficile pensare di collegare frequenza dei passi e frequenza respiratoria in questi casi; questa segue il suo ritmo già assestato, mentre il numero dei passi può variare in base alla situazione. Ciò è ancora più evidente se si tratta di un cross, dove è frequentissimo il cambio del ritmo dei passi, in base al percorso e al tipo di terreno, mentre in una gara di lunga distanza, è molto più facile la sincronizzazione.

La respirazione non era affannosa ma un’azione tecnica?

Dopo questa lunga premessa, ritorno a molti anni fa, quando facevo attività subacquea in apnea. Mi capitava di notare che dopo una lunga apnea, in modo naturale e del tutto involontario, una volta riemerso, invece di respirare con evidente frequenza, dopo aver espulso l’aria, rimanevo per alcuni secondi in apnea inspiratoria, per poi ancora, dopo aver espulso con energia l’aria, inspiravo e rimanevo nuovamente in apnea inspiratoria, però per un tempo più breve di prima. Riflettendo, la stessa cosa avveniva anche alla fine di sforzi intensi : ll e prime respirazioni, avvenivano più ampie nella fase inspiratoria, per un certo numero di atti respiratori. Ciò avveniva per alcuni atti respiratori, fino allo stabilizzarsi di una respirazione profonda ma regolare. La cosa mi incuriosì e riflettendoci sopra, mi sembrò ovvia. Solo quando i polmoni sono dilatati (quindi nella fase inspiratoria), in essi possono avvenire gli scambi gassosi che invece non avvengono con i polmoni svuotati (cioè nella fase espiratoria). Per rendere meglio l’idea, la fase utile della respirazione è quella inspiratoria perché solo allora, con i polmoni pieni di aria, il sangue ha la possibilità di rifornirsi di ossigeno, cedendo l’anidride carbonica. Da qui il seguente ragionamento: se si potesse prolungare la fase inspiratoria, gli scambi potrebbero essere più efficienti.

Nell’atto respiratorio, normalmente le due fasi (inspirazione ed espirazione), impiegano lo stesso tempo. Basta allora, opportunamente, velocizzare la fase espiratoria e prolungare in tempo di inspirazione. L’atto respiratorio occupa lo stesso tempo, nel loro insieme ma sono diversi in quanto l’inspirazione è più lunga dell’espirazione; ciò crea un sensibile vantaggio nel rendimento respiratorio nelle attività di resistenza a cadenza uniforme. Espellere con una certa veemenza l’aria contenuta nei polmoni, per riprendere aria nuova, prolungando il tempo di inspirazione, consente di prolungare il tempo in cui si possono effettuare gli scambi all’interno dei polmoni. Era l’uovo di colombo.

Assieme ad alcuni dei miei allievi provai allora a correre curando di eseguire, in un tempo lievemente più breve e forzato, la fase espiratoria (pur senza arrivare all’apnea inspiratoria). Ritengo che, pur senza avalli scientifici, l’esperimento sia stato proficuo. Del resto, da ex atleta, ricordo che, in maniera naturale (anche se non in modo evidente come dopo un’apnea prolungata) alla fine di una corsa di intenso impegno i primi atti respiratori avvenivano con una fase inspiratoria più prolungata e quasi con un leggero stato di apnea. Dopo tante parole, riflettendo sul tipo di respirazione che stava facendo Perseus Karlstrom, non era affatto una dispnea, ma un tipo di respirazione ricercata e ritmica che lo ha aiutato nella fase finale della gara da lui vinta. Egli ha utilizzato questo tipo di respirazione per recuperare alcuni metri che aveva perso ed iniziare un attacco bellissimo nella quale tutti gli elementi tecnici, fisiologici e psicologici, si sono attivati per raggiungere il successo. Egli faceva rumore nella fase espiratoria, per espellere velocemente l’aria dai polmoni, mentre prolungava la fase di inspirazione. Un bel lavoro, non c’è che dire. Solo lui, il suo tecnico e gli addetti ai lavori, hanno capito. Lui stava cadenzando la propria respirazione nei temi voluti e al ritmo dei passi, in modo deciso ed efficace.

Articolo redatto in collaborazione col Prof. Alfio Cazzetta

 

Chi è il Prof. Cazzetta, il curriculum

  • Insegnante di educazione fisica dal 1962 al 1998
  • Come atleta fu diverse volte campione regionale sui 400 e 800 metri; 2° ai campionati italiani universitari. Smise la sua carriera di atleta nel 1965, vincendo tre titoli regionali (400, 800 e 4×400) e il titolo italiano Libertas sui 400 metri, per dedicarsi più efficacemente al lavoro come tecnico
  • Allenatore nazionale di atletica di atletica leggera
  • Tecnico di basket dal 1962
  • Responsabile della preparazione fisica nel tennis dei circoli Montekatira e Umberto
  • Nel 1967 sfiorò l’assegnazione del Trofeo Beccali, come miglior tecnico di mezzofondo dell’anno
  • Nel 1969 venne nominato responsabile nazionale del mezzofondo juniores
  • Nel 1992 fu responsabile nazionale del Club Italia di mezzofondo
  • Preparatore fisico di basket all’Isab Priolo in serie A, alla Lazur e alla Palmares
  • Fondatore e allenatore di basket dal 1962 al 1967 della squadra maschile di basket dello Sport Club Catania
  • Insegnante di Atletica all’ISEF di Siracusa e poi di metodologia dell’allenamento a Scienze Motorie di Catania e Messina
  • Collaboratore del Calcio Catania nel recupero degli atleti infortunati, attraverso il lavoro in acqua
  • Responsabile della preparazione del settore giovanile del Calcio Catania
  • Relatore in moltissime conferenze in Italia e all’estero
  • Responsabile tecnico regionale e vice responsabile nazionale delle malattie metaboliche
  • Docente nazionale della FIDAL
  • Scrittore sportivo, collabora con Atleticastudi, Amicale des entraineurs francais d’athletisme (Francia), Tempo Running (Belgio), Correre, Multisport, Sport e Medicina, SDS, Universo Atletica, Scienza e Sport, Sport e Conditioning.
  • Autore di cinque libri di cui uno è stato premiato al secondo posto nel concorso culturale del CONI.

Fonte foto World Athletics