“Romanzo senza umani” di Paolo Di Paolo

“Romanzo senza umani” di Paolo Di Paolo

Candidato al Premio Strega 2024, “Romanzo senza umani” di Paolo Di Paolo è tra i dodici libri finalisti del più prestigioso riconoscimento letterario italiano.

A diverso avviso del titolo stiamo per disquisire su un contenuto fortemente ancorato a una connessione spirituale di valore superiore rispetto a un ordinario contatto di esili particelle emozionali. All’umano recipiente di funzioni che precipitano nella mediocrità sotto la dittatura del tempo non resta che contare sulla memoria generosa di eredità in giro per ricordi e rimpianti.

Il passato già congelato all’eterno chiede di mutare la distanza individuata in un lago di secoli fa, una lastra di ghiaccio senza umani ma forse serva fedele di un’impronta. Siamo stati e saremo, chiederlo a chi e perché, la domanda pone perplessità alla memoria distratta dall’inganno del tempo.

Il vissuto di un uomo viene scandagliato attraverso la similitudine con un evento naturale datato. La storia si adopera in un monitoraggio dello scompiglio interiore quando l’io non è certo di essere stato memoria felice per sé e per gli altri.

A quel lago Mauro Barbi, il protagonista della storia, storico di professione, ha dedicato intensi anni di studio, in special modo della glaciazione del 1573 (nel corso della quale il Lago di Costanza gelò). Adesso, lontano dai libri e dalle acque sottoposte alle manomissioni del clima, Mauro è un uomo nudo che interroga il passato sui dettagli in grado di far volgere lo sguardo all’io più recente.

C’è uno ieri abilitato al ricordo, con questo impegno la mente si affanna alla ricerca di chi o cosa ha condiviso il suo tempo. Sebbene l’analisi spazio temporale faccia riferimento a un calendario scaduto, l’indagine personale inoltrata dopo anni e anni di ricerche scientifiche si concentra sui probabili testimoni della sua storia di vita. Alcuni nomi vengono affidati a fogli responsabili di riunire almeno sulla carta un insieme ingiallito. L’estenuante ricerca lo condurrà in una dimensione parallela alla storia non individuale bensì dell’intera collettività.

Ormai libero dai suoi studi, l’esperienza del viaggio conferma in Mauro la relazione a distanza con il suo presente “senza umani”.

È un uomo solo, interrogato dal suo “adesso” sui rapporti abbandonati a metà nella prima parte del viaggio che l’ha voluto in questa vita. Sgomento da questa verità dà inizio all’affannosa ricerca sulle radici del tempo andato a male. Chiede, scrive, ascolta voci di persone che non sono mai appartenute alla sua vita, rincorre il passato tradotto nell’ oggi “senza umani”. Un percorso concentrato sugli studi il suo, una conseguenza degli anni vissuti nell’indifferenza verso il genere umano. Un comportamento che ha perso di vista l’urgenza del tempo.



I climi della nostra vita disegnano una radiografia della nostra esistenza in cui le tempeste, gli acquazzoni, gli inverni lugubri o le estati torride possono essere ricondotti alle palpitazioni sentimentali. Allora siamo stati vivi perché abbiamo vissuto nella nostra vita l’estremismo climatico, che poi rimpiangiamo nel tempo di quiete e di bonaccia, ma se la vita fosse una lunga giornata di primavera sarebbe anche noiosa“.

Sul binario parallelo agli studi dei cambiamenti climatici, il centro della narrazione si rende disponibile a fare da metafora alle stagioni della nostra vita. Le lastre di ghiaccio si rivelano  schermo nemico del clima necessario alla nostra esistenza. Senza di esso il raggio di luce busserà mille volte senza trovare il nuoto di un umano in un lago limpido e trasparente.

In un contesto che recita il movente della pioggia di emozioni, l’emotività si impossessa del tempo che resta sciogliendo uno dopo l’altro i nodi virtuali delle assenze che non danno pace al cuscino. Anna, Susanna, Consuelo, Sofia, sono tutte meteore seguaci della clessidra fantasma sotto la sovranità del tempo. Donne che Mauro ha amato a metà, in linea con il primo tempo di un film a colori poi deportato negli anni asserviti al bianco e al nero.

Le donne si ricorderanno di lui? Che senso ha avuto la collezione di incontri se nelle coscienze resterai sbiadito come una cartolina del secolo che diventò maggiorenne?

Tendiamo a impostare il racconto della memoria per assecondare le nostre esigenze, ma se fermassimo qualcuno che ha fatto parte della nostra vita e gli chiedessimo: che cosa ti ricordi di me? La risposta potrebbe essere spiazzante perché il dettaglio impresso potrebbe essere quello meno prevedibile“.

Siamo al cospetto di rapporti distratti dall’intimità egoista che nulla vuole se non l’immagine ovunque di un sé.

Come un acquazzone in primavera torna e ritorna l’approfondimento storico dell’era glaciale sempre più metafora dell’inverno umano a oltranza. Quale parallelismo migliore della stagione ombrosa che, prodiga di grigi assemblati al nero letale, ha negato libertà alla sfera introspettiva di un uomo?

Paolo Di Paolo ha con sé l’elastico addestrato al lancio delle emozioni su lastre di ghiaccio aspettando che un nuovo specchio d’acqua sia riflesso di un domani più umano.

sara