CATANIA – Ogni santo ha i suoi devoti. Ogni devoto ha la sua storia e ogni storia merita rispetto. La fede è un rapporto “intimo”, viscerale, che a parole non si può spiegare.
La devozione è il cuore pulsante delle esperienze spirituali. Trascende il mero atto di partecipare a riti religiosi, implica una dedizione completa, un abbraccio sincero della spiritualità che supera ogni limite.
La forza che smuove le montagne, che sostiene chi ci crede anche durante le tempeste della vita.
La Festa di Sant’Agata a Catania
A Catania, nello specifico, la Festa di Sant’Agata è particolarmente sentita e partecipata. L’intera città si “paralizza”, dimentica ogni cosa durante i giorni in cui la Patrona è per le strade della città.
Un’esperienza unica che si distingue per la sua intensità e la profondità dei sentimenti che suscita. In chiunque. Non si può restare indifferenti.
Questa celebrazione, radicata in una lunga storia di tradizione, testimonia la forza della devozione nei confronti della santa martire, il cui culto attraversa i secoli, diventando un patrimonio inestimabile per la comunità catanese.
Esplosione di devozione
Quello che tutti vedono è una “folla” di gente, con il sacco e senza, turisti, curiosi, cittadini e tanto altro. Ma, scavando più a fondo, c’è un legame intrinseco: fede, tradizione e folklore si mixano inesorabilmente dando vita alla terza festa cristiana più importante al mondo.
Non è solo un momento di preghiera, ma un’esplosione di devozione evidente in riti e tradizioni uniche.
La processione del fercolo, con la statua della santa, attira migliaia di fedeli, i quali, con candele accese e cuori ferventi, si uniscono nel corteo lungo le strade di Catania. Le preghiere risuonano nell’aria, insieme agli inni in onore della Patrona.
Sant’Agata vista con gli occhi di un devoto
Ma dietro tutto questo cosa c’è? Cosa vuol dire essere devoto? Compiamo un “viaggio” “dietro le quinte” della Festa di Sant’Agata. A raccontarci da vicino l’emozione, la gioia, l’attesa e la voglia di ringraziare Agata è Emanuele Di Re, un devoto catanese, intervenuto ai nostri microfoni.
Dai ceri votivi al sacco, usanze e tradizioni particolarissime caratterizzano la festa. Ma facciamo parlare direttamente chi è “dentro” la festa più di chiunque altro.
I ceri votivi
- Cosa sono i ceri votivi? Chi li “carica” in spalla?
“Come suggerisce il nome stesso, sono dei grossi ceroni portati a spalla dai devoti durante la processione per la festa di Sant’Agata. Così come le candelore, servono a ‘fare luce’, a illuminare il cammino della santa. Ma c’è dell’altro. In base alla grazia ricevuta, si decide il peso. Molti, in alternativa, accendono anche piccoli ceri negli altarini dislocati nelle varie zone di Catania. Si va, come detto, dalla piccolissima candela bianca ai grossi ceri che pesano fino a 150 kg“, spiega Emanuele.
Una suggestiva usanza popolare vuole che i ceri donati siano alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione o che ha ricevuto la grazia. Ma è chiaro che si tratta di una scelta personale, insindacabile.
“Si prendono anche cura del proprio cero: infatti lo puliscono regolarmente col coltello, per evitare danni sia per loro che lo portano che per le persone intorno. La sicurezza è sempre una priorità”, prosegue.
Sacco, berretto, guanti e fazzoletto
I devoti di Sant’Agata si riconoscono. Già il 4 febbraio, che segna il primo incontro della città con la Santa Padrona, le vie di Catania si colorano di “bianco”.
I fedeli che hanno ricevuto una grazia, infatti, indossano il “sacco” (un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino), un berretto di velluto nero, guanti bianchi e sventolano un fazzoletto – anch’esso bianco – stirato a fitte pieghe.
Dietro l’abbigliamento, in ogni caso, c’è una forte carica simbolica, oltre che un contenuto denso di fede.
- Cosa rappresentano il “sacco”, i guanti e il fazzoletto? Chi li indossa e perché?
“Rappresenta l’abbigliamento notturno – una sorta di sottana bianca – che i catanesi indossavano quando, nel 1126, scapparono per vedere le reliquie che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli“, racconta il devoto.
“La popolazione scappò anche con la ‘scurzitta‘ che è il cappellino da notte“, aggiunge.
“Inizialmente non c’era distinzione tra sacco verde e sacco bianco. Quello colorato è stato creato successivamente per rispettare sant’Agata e richiama il colore della tunica indossata dalla Patrona durante il martirio, ecco perché sono tradizionalmente le donne che lo indossano verde“, afferma Emanuele.
Ma l’originario camice da notte, nei secoli, si è arricchito anche del significato di veste penitenziale: secondo alcuni l’abito di tela bianca è la rivisitazione di una veste liturgica, il berretto nero ricorderebbe la cenere di cui si cospargevano il capo i penitenti e il cordoncino in vita rappresenterebbe il cilicio.
- Cosa simboleggia il sacco? In che modo è legato con la devozione?
Simbolicamente, “il sacco simboleggia la purezza e la devozione verso la santa. Stesso discorso per il fazzoletto bianco che viene sventolato dai devoti per ‘salutare’ la Patrona. È un modo per sentirsi vicino a lei. Per i guanti c’è anche dell’altro: siccome non si possono toccare a mani nude né il cordone né le reliquie, perché altrimenti è come se fosse un sacrilegio, si utilizzano i guanti“.
“Il sacco si indossa solo nei giorni specifici della festa, quando la santa è tra i cittadini. In genere, è portato da chi ha ricevuto una grazia o per chiedere protezione. Diciamo che è una scelta personalissima, non c’è una regola“, dichiara Emanuele.
Non si tramanda di padre in figlio, è una volontà personale, un segno votivo: “È come se si dicesse: ‘Io sono grato a te, Agata, per la grazia che ho ricevuto’ oppure ‘Indosso il sacco perché sono devoto a te e solo a te affido la salute dei miei cari‘”.
Una storia di devozione
Chiaramente il voto è una “questione” intima. Si tiene per sé, in genere non viene divulgato, ma c’è chi, invece, sceglie di parlarne.
“Mi viene in mente una storia importante legata alla devozione, di una ragazza che ha voluto condividere la sua gioia. Dopo essersi trasferita a Roma da Catania con il suo fidanzato, non riusciva ad avere figli. Una volta tornata in Sicilia, proprio per la festa di Sant’Agata, ha trascorso tutte le giornate piangendo e chiedendo – tra le lacrime – quello che il suo cuore sperava. Poi riparte, portando con sé un fiore, l’indomani non lo trova più. Una settimana dopo, ha scoperto di essere incinta“. Questa la testimonianza che ha voluto condividere con noi il nostro intervistato.
“Semu tutti devoti tutti”
Durante la festa, i devoti “si riuniscono in gruppo per pregare, urlando a squarciagola, oppure inneggiano i canti in onore di Sant’Agata“.
A ritmo cadenzato gridano: “Cittadini, viva sant’Agata”, un’osanna che significa anche: “Sant’Agata è viva” in mezzo alla folla.
Non è raro sentire anche: “Semu tutti devoti tutti”, “Co saccu o senza saccu, facimuccillu n’applausu a Sant’Aituzza“.
“Sono frasi nate nel corso degli anni, con la tradizione. In origine si procedeva in sacrosanto silenzio, in segno di rispetto per la Santa. Oggi gli inni per la Patrona sono frequentissimi, ciascuno vuole gridare al mondo intero la propria devozione, per ringraziare Agata della sua presenza in città. In genere provengono da chi è dentro il cordone. E gli altri rispondono“, afferma Emanuele.
Cordoni e fercolo
I “cittadini ” guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze. In 4mila o 5mila trainano la pesante macchina.
Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e, a piccoli passi, trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, Busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali.
Sul fercolo, trionfo e profumo di fiori. Il 4 febbraio troviamo i garofani sono rossi, che simboleggiano il martirio, il 5 vengono sostituiti da quelli bianchi, segno di purezza.
- Come funziona il traino del fercolo? E i cordoni?
“I cordoni sono due e vengono collaudati e controllati ogni anno. Servono per tirare la vara della Santa, da un lato ci sono le maniglie e dall’altro i ganci. Tutti i devoti partecipano e collaborano, ma gli assistenti del fercolo, che sono proprio sotto, gestiscono la situazione e pilotano le manovre“, dice il devoto.
Inoltre: “Quando il capo vara dà il via, quello è il momento di entrare in azione. Altrimenti occorre attendere. Non è possibile che un cittadino qualsiasi tocchi il cordone a mani nude, solo chi indossa il sacco. È come se fosse una prosecuzione della Santa, quindi è – in un certo senso – sacro e ci vuole rispetto“.
La fine della Festa lascia un vuoto
Dopo il giro “esterno” di giorno 4 e quello “interno” del 5, quando Sant’Agata rientra in Cattedrale, ormai nella mattinata del 6 febbraio, i sacchi bianchi non profumano più di bucato, i volti sono segnati dalla stanchezza, i muscoli sono doloranti, la voce se n’è completamente andata e le lacrime solcano il viso.
Ma la fatica è presto ripagata dalla soddisfazione di aver portato in giro per Catania la sua Patrona e di averla “riabbracciata”, almeno per un po’.
Bisognerà poi aspettare diversi mesi (la festa del 17 agosto, “Sant’Agata d’estate“), o un altro anno (la festa del 5 febbraio), per poter vedere sorridere ancora una volta la santa, vergine e martire.
La fede, una fiamma inestinguibile
La Festa di Sant’Agata a Catania, quindi, è un’esperienza che va oltre la celebrazione religiosa tradizionale. È un rituale di devozione, una dimostrazione tangibile della fede profonda e ininterrotta che la comunità ha per la sua patrona.
Attraverso riti, tradizioni, e la testimonianza di miracoli, la devozione alla Patrona del capoluogo etneo continua a permeare le vite dei fedeli, creando un legame indissolubile che, attraverso i secoli, continua a ispirare e proteggere.
La fede, anche nelle sfide più difficili, persiste come una fiamma inestinguibile. E ad alimentarla sono soprattutto loro, i devoti.
Grazie a Emanuele Di Re per averci regalato questa emozionante “parentesi di devozione”, per nulla scontata.
Foto esclusive della fotografa Deborah Longo (@deborah_longo_) per la redazione di NewSicilia.