CATANIA – Un bimbo di pochi mesi con il suo pannolino e un peluche accanto al porto di Catania. È questa l’immagine che unisce – con un sottile filo rosso – speranza e dramma. La speranza di una vita giovane, giovanissima, che cercherà fortuna in Europa dopo aver attraversato il Mediterraneo e il dramma degli oltre 2.500 cadaveri che in quel lembo di mare tra Italia e Libia sono morti dall’inizio dell’anno.
Le stime dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) sono in continuo aumento: gli arrivi sinora sono 193mila e negli ultimi giorni sono svariati gli sbarchi nei diversi porti isolani, da Catania ad Augusta sino a Pozzallo e Palermo.
La maggior parte dei migranti che si affidano ai trafficanti sono siriani, seguono afgani, eritrei, nigeriani e somali.
Catania è in prima linea nell’accoglienza. Sia dei vivi sia dei morti. Ieri sono giunte 45 salme provenienti da Melilli a cui si sono aggiunte le 37 della nave Siem Pilot arrivata in porto: tutte sono state tumulate nel cimitero etneo.
Ieri l’ennesima tragedia che sta assumendo i contorni di un copione di morte che tristemente si ripete. 51 morti all’interno della stiva di un barcone soccorso al largo della Libia da una nave svedese.
In tutto sono stati salvati 439 migranti e i 51 sono morti per le esalazioni dei motori e per mancanza di ossigeno. I bambini sono quelli che pagano il prezzo più grande. Spesso partono da soli e giungono in Libia rimanendo lì per mesi a lavorare cercando di reperire il denaro per il costoso biglietto dei barconi della morte, costretti a condizioni di vita umilianti e subendo continui soprusi.
La morte, avvenuta 2 giorni fa, di un 15enne somalo per gli stenti e i maltrattamenti subiti in terra libica non è un caso isolato.
Gli operatori di Save The Children, nel loro encomiabile impegno quotidiano, hanno raccolto diverse testimonianze dei tanti minori non accompagnati che giungono in Sicilia.
Ad esempio la storia di A., 16 anni, che è partito dal Senegal, attraverso Mali, Burkina Faso e Niger, ha raggiunto la Libia, dove ha lavorato per 6 mesi: “Nei campi ero costretto a raccogliere per tutto il giorno una pianta spinosa che mi ha lasciato ferite ovunque nelle mani e nelle braccia. La notte eravamo richiusi e ci picchiavano perché non scappassimo, mi hanno picchiato così forte che mi hanno rotto un braccio”.
Anche I. B., 16 anni, è del Senegal, e arrivato in Libia è stato subito arrestato e rinchiuso dove lo picchiavano bastonandogli i piedi due volte al giorno, e volevano un riscatto di 1.000 dinari per liberarlo.
M., 15 anni, del Gambia, lavorava in un magazzino in Libia, ma quando ha chiesto i soldi della paga gli hanno frantumato due dita con un martello, ed è dovuto scappare, come ha fatto anche D., 15 anni, della Costa d’Avorio, che faceva il muratore con orari massacranti ma non è stato mai pagato.
“Dall’inizio dell’anno ci sono 7.600 minori non accompagnati – spiega Giovanna Di Benedetto di Save The Children, intervistata da Video Mediterraneo – e ci raccontano storie terribili e di abusi. Sono bambini che hanno bisogno di essere accolti e protetti adeguatamente. I numeri sono elevati e non tutte le strutture sono adeguate ad accogliere, da marzo sono state attivate 16 strutture dal ministero dell’Interno. Noi chiediamo che venga approvato il ddl 1.658 che tende a disciplinare l’accoglienza dei minori non accompagnati”.