“Non posso vivere senza di te“. Apparentemente sembrerebbe essere una frase d’effetto, carica d’amore. Scavando più a fondo, invece, si cela una necessità che può sfociare in un disturbo. E il più delle volte si arriva al peggio, ci si incatena nella dipendenza affettiva.
Una relazione sana, infatti, presuppone uno scambio di idee, sentimenti, sensazioni. Il partner ci deve arricchire, completare ma non deve essere la sola causa della nostra esistenza.
I rapporti, per quanto belli possano essere, potrebbero finire in qualsiasi momento. È l’aleatorietà dell’essere umano stesso, che – a volte – si “distrae” da ciò che conta, cercando nuove strade e prendendo direzioni differenti.
Nessuno è l’altra metà perfetta della mela
Il partner che subisce l’addio può cadere nello sconforto pensando che la propria vita non ha più un senso. Ma ce l’ha, l’ha sempre avuto.
Sfatiamo il mito che nessuno è l’altra metà perfetta della mela. Ognuno è unico a sé stesso, l’altro non deve compensare un vuoto, ma impreziosire ciò che già c’è.
Bisogna essere completi da soli, in due la vita si deve solo migliorare, dividendo gli affanni e quadruplicando le gioie. Nulla più. Tutto il resto è da evitare.
Una consapevolezza del genere si realizza negli anni, riflettendo e metabolizzando le batoste ricevute.
La dipendenza affettiva: cos’è
“Nemmeno finisce una relazione che già sono alla ricerca di un’altra. Quanti ti amo detti a più persone, a distanza di pochi mesi… come se gli amori fossero tanti ed intercambiabili. Quante sostituzioni operate pur di non stare soli con sé stessi. Se dovessi dare un accenno di dipendenza affettiva, sarebbe proprio questo“.
Inizia così l’intervista alla psicologa Ines Catania che, intervenuta ai nostri microfoni, ha approfondito da vicino una tematica molto attuale ed estremamente complessa.
Facendo riferimento ai link su social che trattano retorica, che poi retorica non è, ricordiamo sicuramente la frase: “Accontentarsi di chiunque pur di non stare soli. Se dovessi descrivere l’infelicità, lo farei così” Questo è un validissimo esempio di dipendenza affettiva“.
Questo è un validissimo esempio di dipendenza affettiva.
La tensione nella relazione
“Per alcune persone, coloro che possiamo definire dipendenti affettivi, le relazioni diventano fonte di insoddisfazione e frustrazione ma, per quanto portare avanti questo legame sembri difficile, il pensiero di rimanerne privi è di gran lunga peggiore“, afferma la psicologa.
La dipendenza affettiva si instaura proprio all’interno di questa tensione tra il “non poter vivere con” e il “non poter vivere senza”: il funzionamento della persona dipende dalla propria relazione affettiva.
La dipendenza affettiva come la tossicodipendenza
La dipendenza affettiva fa parte delle “nuove dipendenze”, processi che presentano le stesse caratteristiche della tossicodipendenza ma non sono causati dall’azione di una sostanza di abuso.
Ci sono dei “campanelli d’allarme” da non sottovalutare:
- Interazioni: “il partner diminuisce, parallelamente, il tempo investito in attività autonome o contatti con altre persone“;
- Astinenza: “la comparsa di emozioni negative molto intense, come ansia, panico, depressione, quando il partner è fisicamente o emotivamente distante“;
- Perdita di controllo: “l’incapacità di riflettere in maniera lucida sulla propria situazione e di controllare i propri comportamenti, alternata a momenti di lucidità in cui la persona dipendente sperimenta vergogna e rimorso“.
L’origine della dipendenza affettiva
Perché si diventa dipendenti da un’altra persona? È un processo lungo che affonda le radici nell’infanzia, nel rapporto con chi si è preso cura di noi.
“Coloro che diventano affettivamente dipendenti probabilmente da piccoli hanno ricevuto il messaggio di non essere degni d’amore o che i loro bisogni non siano importanti“, spiega la psicologa.
“C’è una precisazione da fare. Nessun bisogno infantile può mai essere soddisfatto in un adulto da un altro adulto. C’è un’unica eccezione a questo: l’adulto stesso può prendersi carico del bambino ferito al suo interno“, prosegue.
Come riconoscere la dipendenza affettiva
Come capire se si è piombati nel baratro della dipendenza affettiva? La nostra intervistata risponde: “I sintomi più importanti per riconoscerla sono senso di colpa e di inferiorità nei confronti del partner, estrema gelosia, paura dell’abbandono, scarsa autostima verso sé stessi e annullamento di sé e delle proprie passioni per compiacere il partner. L’altra metà viene posta al di sopra di tutto e tutti, anche di sé stessi“.
Da un punto di vista strettamente tecnico e strategico, “alla base della dipendenza affettiva esistono una serie di fattori: schemi disfunzionali sia sotto forma di credenze coscienti che di procedure implicite e automatiche, carenze metacognitive, scarso senso di agency e cicli interpersonali disfunzionali“.
Come intervenire con la Schema Therapy
L’intervento con la Schema Therapy avviene attraverso diversi step: “Una prima fase di breve-medio termine (da uno a tre mesi) che consiste nel fare un assesment dettagliato, formulare il contratto terapeutico e comprendere gli schemi maladattivi sottostanti la dipendenza affettiva“.
Durante questa prima fase “l’attitudine è pragmatica: vengono identificati insieme al paziente degli obiettivi precisi e progettate le strategie comportamentali di attuazione“.
Nella seconda fase, la cui durata è soggettiva, avviene il cambiamento strutturale della personalità: “Le tecniche della Schema Therapy possono essere integrate con l’utilizzo dell’ipnosi ericksoniana per aiutare la persona a gestire la ruminazione sulla propria relazione, attuale o passata, promuovere la consapevolezza delle proprie emozioni e attivare le risorse di agency necessarie al cambiamento“.