SICILIA – Per i bambini siciliani il giorno di “Tutti Santi” era un vortice di emozioni. Speranza e ansia miste alla curiosità e alla fretta di arrivare presto domani… Chissà cosa c’avrebbero purtatu i murticieddi?
Immancabilmente la mattina del due novembre era questa la domanda che ci si faceva tra bambini. Sapete com’è nata questa usanza?
“Chi ti purtanu i murticieddi?”
Da sempre l’uomo ha cercato un legame con l’aldilà, purtroppo tutti proviamo prima o poi il dolore per la perdita di una persona cara e forse da questo nasce l’esigenza di creare almeno un giorno l’anno un ponte tra i vivi ed i morti.
In Sicilia questo giorno è particolarmente sentito. Giorno 1 novembre in serata la famiglia si riuniva assieme ai vicini per la recita delle preghiere, finita la cena si lasciava una candela accesa e la tavola apparecchiata con il pasto (di solito pasta chi ciciri) per i defunti che nottetempo sarebbero venuti a far visita.
Dal medioevo in Sicilia si diffuse l’usanza di preparare il “Pane d’Anima” un dolce che veniva donato ai poveri che giravano chiedendo l’elemosina in cambio di preghiere in suffragio per le anime defunti. Quest’usanza si diffuse molto rapidamente e durò per secoli.
Una preghiera
I nostri nonni da bambini quando venivano messi a letto recitavano questa preghiera:
“Animi santi, animi santi
Iu sugnu unu e vujautri siti tanti
Mentri sugnu nta stu Munnu di guai
Cosi di morti (cioè regali) mittitiminni assai“.
U “Panaru”
E così la notte tra l’1 ed il 2 novembre i morti andavano in processione per le vie dei paesi e nelle case dei parenti a portare i doni ai bimbi buoni, ogni famiglia anche la più povera aveva cura di far trovare ai piedi dei loro letti dei regali.
Di solito erano delle scarpe nuove, dolcetti, oppure un giocattolo (nelle famiglie più ricche) mentre nelle famiglie meno facoltose era consuetudine il cosiddetto “Panaru” con dentro 9 cose (noci, nocciole, mostarda, cotognata, fichi secchi, castagne, sorbe, uva passa, melograno ecc.).
“Ricordate quant’era bello?”
Immaginate la gioia al risveglio di quei bambini, “non è forse la stessa che io e voi che leggete abbiamo provato?“, chiede Salvatore Battaglia presidente dell’Accademia delle Prefi.
“Ricordate quant’era bello? Se ci penso mi commuovo, forse perché con l’età divento un po’ nostalgico, forse perché i miei affetti più cari non ci sono più oppure forse perché quello che vedo in giro oggi non sempre mi piace. Io ricordo che si aspettava la festa per avere un regalo, ricordo che mia madre mi diceva questo te l’ha mandato il nonno Turiddu, i dolcetti la nonna Marianna ecc. E ricordo me da piccolo, davanti alla tomba dei nonni, stringevo il mio bellissimo robot che dopo averlo caricato si accendevano tante luci e piccoli ed assordanti rumori di rotelle meccaniche ed io felice li ringraziavo“, aggiunge.
Una poesia
Na Puisia mia ma nun mi sientu puita, sugnu sulu u figghiu di Vanninu Testa Rossa dri Iusu (Ragusa Ibla)
Ai miei murticieddi…
E paria na festa, na ddu campusantu,
cu na caterva di genti e di sciuri
di vuci assicutati ormai di ciantu
di ciantu assicutatu di duluri.
“Poi ricambianu, i morti, e tali e quali
stanotti poi ti portanu i rijali”.
E ammenzu a qualchi vesti e iucareddu
nuci e nuciddi, mennuli, azzalori
ficu, pupi di zuccuru, a punzeddu
la frutta marturana. Eh, i viscuotti
ciamati l’uossa re muoticieddi.
Era l’arrusbigghiata dda jurnata
pi la ricerca di la ncannistrata.
Chista, la nostra. La festa de’ morti,
quannu cu cera nenti ed erumu felici e cuntenti.