“Come il vento tra i mandorli” di Michelle Cohen Corasanti

“Come il vento tra i mandorli” di Michelle Cohen Corasanti

A volte la riproduzione fedele della storia tenta di tradire la promessa di essere copia sincera dei fatti. La metà del volto increspato della vita, però, non deve esimersi dallo specchio in comune con il resto del mondo, e per questo il diritto di essere portavoce di quella porzione di umanità immonda coincide col dovere di aprire la finestra sull’azzurro affumicato dalla guerra.

Il romanzo di Michelle Cohen CorasantiCome il vento tra i mandorli” nasce dal nome dell’associazione da lei fondata per promuovere il dialogo tra israeliani e palestinesi attraverso molteplici eventi culturali.

The almond tree project” prevede l’esordio letterario dell’avvocato Michelle Cohen di origine ebraica naturalizzata americana. Il primo appuntamento con la narrativa non poteva aggiungere ritardo al racconto del Paese attaccato e distrutto tante, troppe volte, raso a terra e restituito al mondo stremato dall’odio mutato in fiumi di sangue.

Palestina, 1955.
In uno dei tanti villaggi nasce e fiorisce l’ingegno del piccolo Ichmad. Piccolo uomo con appena dodici primavere a suo vantaggio, ha già perso la sorella Amal uccisa da una mina durante il tempo di gioco. Baba, il padre, è un agricoltore dalle deboli forze fisiche separate dalla ragione, maestra di saggezza dei pensieri ingombranti.

Quando il giorno si alza dal letto privato dalla protezione del sole, Baba viene sequestrato dai soldati e portato in prigione lasciando la famiglia mutilata dal potere decisionale. Ichmad e il fratello Abbas vengono richiamati dalla ragione a tratti inesperta per la loro piccola età.

“Non si può vivere di rabbia, figlio mio, io prego perché la nostra gente e gli ebrei possano un giorno lavorare uniti per costruire il nostro paese, anziché distruggerlo”.

Ichmad e Abbas lasceranno l’infanzia a suon di battiti impazziti dalla paura che da un giorno all’altro ha preso il posto delle emozioni. I due fratelli saranno ricevuti da un tetto con funzioni materne sconosciute a una carezza sotto il cuscino del sogno.

Li accoglie un’unica parvenza di vita normale, un albero di mandorlo dal nome Shahida, “il testimone”. Sotto la sua verde chioma il respiro annaspa nella quiete rubata con inaudite violenze in ogni tenda, casa, rifugi nascosti nelle intercapedini degli edifici. Sdraiato sulle radici del mandorlo, Ichmed spera ancora di poter riavvolgere la memoria attorno a un tavolo condito di Pace.



Intanto i prematuri boccioli del mandorlo si adattano volentieri ai mesi invernali, malgrado le sfumature chiare (rosa e bianco) dei cinque petali siano promesse mantenute di una futura, eterna primavera.

La violenza degli ebrei rende storpio il corpo di Abbas che griderà vendetta fino alla fine dei suoi giorni. L’uno diverso dall’altro, ciascuno dei due fratelli si rivolgerà alla vita interrotta con occhi diversi. Mentre il cuore di Abbas schizza faville rabbiose e pensa di unirsi al Fronte di Liberazione per la Palestina per dare linfa all’odio verso il nemico israeliano, aggrappato alla sua naturale inclinazione per le scienze matematiche, Ihmed vincerà una borsa di studio per l’Università di Tel Aviv e si laureerà in Fisica, Chimica e Matematica. Ovunque lo porterà la carriera universitaria, Ichmad, il palestinese buono, manterrà salde le radici con il popolo a piedi nudi sulle orme della violenza che mai calpestò il sentiero della Pace.

Dalla sua parte Ihmed ha la mitezza del mandorlo che attende il ritorno del sole, “non verrà più” pensa il bocciolo nascosto tra le foglie che fanno da scudo durante le tempeste di neve, “sarà meglio appassire, non sono ancora nato e condivido la culla con la morte dietro la porta“.

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“Se ci vendichiamo delle loro azioni, saremo come loro, ma se li perdoniamo, allora saremo migliori”. (Parole di Baba).

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Odiare è come autopunirsi. Pensi che loro siano tristi perché tu li odi?
(Ichmad a suo fratello Abbas)

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Le parole di Baba non trovano udienza nel figlio acquiescente alla rabbia, in ginocchio accanto al tetto ridotto in polvere insieme all’oro umano della sua famiglia. Sono invece semi di consapevolezza le cellule meno reattive del figlio Ichmad, istruito ai sogni a partire dalle prime luci dell’alba.

“La cooperazione tra palestinesi e israeliani è l’unica vera speranza per la pace. La storia ha dato prova del fatto che un popolo non può raggiungere la sicurezza a scapito di un altro. Uno stato secolare e democratico in tutto il territorio palestinese, in cui ci siano uguali diritti per tutti i cittadini a prescindere dal loro credo religioso, è l’unico modo per costruire la vera pace. Una persona, un voto. Dobbiamo smettere di lottare e cominciare a costruire”.

Sembra non aver fine il baratto della giustizia a due voci che alimenta il conflitto arabo-israeliano causa della dimensione contraria al diritto delle diversità. Mentre scorrono le parole di questa analisi letteraria, il primo vento d’autunno sfiora i mandorli paralizzati dal terrore di non sopravvivere al ritorno alla vita dei cinque petali.

sara