Messina Denaro rivela in un vecchio interrogatorio l’obiettivo della strage dei Georgofili

Messina Denaro rivela in un vecchio interrogatorio l’obiettivo della strage dei Georgofili

TRAPANI – Matteo Messina Denaro non ha mai ammesso il suo coinvolgimento nella strage dei Georgofili, l’attentato compiuto tra il 26 e il 27 maggio del 1993, in cui morirono cinque persone, tra cui anche due sorelline.

È emerso durante un interrogatorio avvenuto davanti al G.I.P. nei mesi scorsi e adesso depositato.

Le parole del boss

Tengo in chiaro che io non so niente di Firenze, io non so niente anche perché non c’è mai stata in una mia condanna nessun riscontro oggettivo. Quello di Firenze, qualora fosse vero, non è che si volevano uccidere persone, anche perché ci sono collaboratori che dicono che la finalità non era uccidere delle persone“, ha dichiarato qualche mese fa il capomafia.

La finalità – ha aggiunto – era prendersela con lo Stato, con i beni dello Stato. Non è stato secondo me un errore, è stato menefreghismo che è peggio perché l’errore può essere perdonato. Ma se io capisco e intuisco che là succedeva una strage ecco che una bomba là non sarebbe mai stata messa”.

“Il problema – ha concluso – è che hanno usato gente che non vale niente“.

Chiuso processo a Messina Denaro per morte del reo

Con la produzione, da parte del pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo, di un documento del Dap che attesta il decesso di Matteo Messina Denaro si è chiuso, ieri pomeriggio, al Tribunale di Marsala, il processo avviato lo scorso 13 settembre al boss mafioso castelvetranese, morto lo scorso 25 settembre a L’Aquila.

Un certificato di morte rilasciato dal Comune de L’Aquila è stato, invece, prodotto dall’avvocato Luca Bonanno, del foro di Palermo, difensore d’ufficio.

Matteo Messina Denaro era imputato sulla base di due indagini, “Annozero” sulle “famiglie” del Trapanese e “Xydi” su quelle dell’Agrigentino, nelle quali il boss di Cosa Nostra era rimasto coinvolto, ma la cui posizione era stata stralciata in fase di udienza preliminare quando era latitante.

Alla prima udienza, la presidente del collegio giudicante, Alessandra Camassa, aveva comunicato che al Tribunale era pervenuta una “rinuncia a comparire” in udienza firmata dall’imputato, anche se sulle sue condizioni di salute non era arrivata alcuna comunicazione.

Al boss era contestato di avere impartito direttive, attraverso rapporti epistolari, costituendo il punto di riferimento mafioso decisionale in relazione alle attività e agli affari illeciti più importanti, gestiti da Cosa Nostra, in provincia di Trapani e in altre zone della Sicilia.

Numerose erano le parti civili ammesse dal gup di Palermo al momento del rinvio a giudizio.