“Madre incompiuta” di Maria Ausilia Boemi

“Madre incompiuta” di Maria Ausilia Boemi

“In fondo, che cos’è un nome? Quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome profumerebbe altrettanto dolcemente”. Scriveva Shakespeare. Nel giardino anelato dalla vita proba fioriscono rose con ali in cambio di spine. Il profumo delle madri incompiute si riconosce da una brezza leggera che non trova riposo. “Madre incompiuta” (Edizioni Dialoghi) è il romanzo di esordio di Maria Ausilia Boemi, redattrice per il quotidiano La Sicilia di Catania. La scrittura è poliedrica solo se, come la sua, è partorita da penne virtuose che consentono di avvicinarsi alla narrativa con l’impronta decisa a rimanere compatta nel tempo.

Lei si chiama Maria, come il nome della Madre di tutte le madri. Presto anche lei sarà madre, adesso però è solo una figlia al capezzale della madre terrena che sta per lasciare questo mondo. Ancora pochi respiri, ancora qualche minuto prima di entrare nella nuova dimensione che assorbe l’anima restando indifferente ad ogni organo vitale. Il volto esangue è in netto contrasto con le labbra schiuse per rivelare un segreto. Il corpo morente è quello di una madre dal grembo fertile sì, ma di un’altra figlia, morta subito dopo la nascita. La madre biologica di Maria fu il grembo di una rosa violata dall’inganno di un maschio mai stato uomo.

All’età di trentanove anni e con un figlio in grembo, Maria scopre di aver vissuto in casa di un uomo e una donna estranei al sangue che le scorre nelle vene. Il suo primo vagito echeggiò nei salotti di un palazzo, una nobile dimora siciliana contesa dal panorama montano e marino. Una bellissima bambina nacque dal ventre della contessa Carmela Vanni.

A Maria, medico specialista in cardiochirurgia, spetterà il difficile compito di srotolare il tappeto sotto il quale per tanti anni è stato sepolto il suo DNA. Il mosaico incredulo a se stesso riprende vita già dal primo contatto in ritardo con una geografia di rughe impressa sul volto della contessa. Madre incompiuta, l’amore più grande di sempre. Le parole di rito come “perdono” e “figlia” chiedono al tempo di lasciar sedimentare il rancore di uno ieri ansioso di un abbraccio.

La contessa era assalita dai ricordi dolorosi, in quel momento nuovamente strazianti. Talmente forti che fisicamente le sembrò quasi di sentire nuovamente i dolori delle doglie, la carne lacerata da piccola che si faceva strada verso la vita. Era la prima volta, dal momento del parto  che madre e figlia si trovavano nuovamente in quella stanza, insieme:erano passati trentanove anni ma nulla aveva potuto in lei, madre incompiuta, recidere quel cordone ombelicale“.

Un marcato affondo psicologico sulla genesi della vita si spande tra le pagine dolci più del miele, un carezzevole sguardo materno evolve in un sentimento pari a nessun altro. Figlia, donna e ormai madre del piccolo Andrea, Maria sembra non aver fretta di pronunciare le due sillabe a forma di cuore. Ancora vivo è il ricordo dei “genitori degli abbracci”, così amava chiamare i fautori del suo tempo felice in una casa umile, troppo umile per permetterle di vivere nell’agiatezza. All’improvviso un quesito mimetizzato tra i vicoli della memoria la sorprende: chi le ha concesso il privilegio di finire gli studi? Il padre infermo di cuore non avrebbe mai potuto garantirle una vita agiata.
Ma allora…forse…



Non saranno di certo immensi palazzi, tenute e titoli nobiliari, truffatori della memoria intrisa di tenerezza acquisita in trentanove anni, a manomettere il ricordo dei portatori sani dell’unico privilegio che conta: l’Amore.

La biologia è la scienza che studia sterili cellule in giro per vene e arterie all’oscuro di un pieno d’amore nutrito da una carezza materna. Maria mai potrà dimenticare il suo viso in fiamme dopo un incubo notturno prontamente sedato da una mano sulla fronte. La mano di sua madre. Magia pura, quella del cordone ombelicale tagliato e ricomposto ogni qualvolta le due sillabe si ritrovano insieme.

Dopo non pochi turbamenti, Maria sceglie di provare compassione filiale verso una madre compiuta, la sua vera madre da cui fu strappata dalle braccia a pochi minuti dal parto. La giovane puerpera, figlia e madre del disonore, non avrebbe avuto alcuna possibilità di ribellarsi alla legge sovrana del “pater familias”.

Nella Catania di metà Novecento, il frutto del peccato non poteva acquisire titoli nobiliari né ereditare le ingenti ricchezze di proprietà esclusiva ai figli legittimi. La gravidanza fuori dal matrimonio era considerata una macchia indelebile sullo stemma di famiglia, poco contava se l’onta fosse dovuta a una violenza perpetrata sul candore di una giovane donna.

La Sicilia del tempo votato alle tradizioni era succube di un patriarcato letale per l’espressione dei sentimenti malvisti dai precetti della Chiesa. Per le ragazze ingannate dalle lusinghe di uomini senza scrupoli si aprivano le porte del convento in cui venivano accolte con la benedizione del perdono celeste. Sulle loro anime il giudizio umano era lontano dalla compassione verso le giovani consacrate alla vita monastica. Spesso il chiostro era considerato l’unico tetto per proteggere la rosa dalle spine galeotte. Passeranno anni, voleranno decenni prima di poter cambiare nome alle tradizioni golose di giovani vite date in pasto a lunghe penitenze.

 

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L’ esordio nella narrativa della giornalista Maria Ausilia Boemi conferma la conquista delle prime volte attese con spasmodica cura. Vola alto il vessillo della vittoria ben piantato su solide competenze maturate nel corso di una brillante carriera giornalistica. Non costituisce un’audace profezia quella che il romanzo “Madre incompiuta” sarà seme di un nuovo itinerario della scrittura incisiva della giornalista Maria Ausilia Boemi, per tanti anni appannaggio di una scrivania di redazione.

sara