PALERMO – Chi dice che all’interno delle carceri prevale un modello “vecchio stampo” e non tecnologie capaci di far arrivare degli oggetti richiesti ai detenuti? D’altronde la tecnologia è uno dei campi che negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo esponenziale su tutti i fronti ed ecco l’episodio che ha tenuto banco al carcere Pagliarelli di Palermo.
L’episodio al Pagliarelli di Palermo: trovati 4 cellulari funzionanti
Nello specifico, 4 telefoni cellulari sono stati rinvenuti dai poliziotti del penitenziario menzionato in precedenza, nel capoluogo siciliano, grazie all’uso di un drone.
L’operazione è stata condotta dagli agenti guidati dal comandante Giuseppe Rizzo, i quali hanno notato il drone sorvolare le celle ad alta sicurezza e fermarsi vicino a una finestra dove erano detenuti individui legati alla mafia e alla camorra.
Dopo un’ispezione all’interno delle celle, sono stati scoperti quattro telefoni cellulari perfettamente funzionanti, nascosti all’interno dei water e avvolti in cellophane. Tali dispositivi erano in grado di accedere anche ai social network.
La pena possibile e lo stimolo in più per la polizia penitenziaria
A seguito di ciò, i detenuti coinvolti sono stati denunciati e rischiano una pena che va da uno a quattro anni di reclusione.
Nelle settimane precedenti, una situazione simile era stata scoperta anche nel carcere di Trapani, dove un drone era stato utilizzato per inviare micro-cellulari e droga.
Se questo è l’ultima delle creazioni per far accedere oggetti proibiti, le carceri dovranno seguire con cura e attenzione ogni singolo movimento da parte dei soggetti convolti in situazioni come quella descritta poco prima.
Uno stimolo in più per non abbassare la guardia senza prendere sotto gamba accessori che, chissà, potrebbero essere frutto di operazioni frutto di reati o elementi del presente direttamente dalla “centralina” in cui determinati soggetti sono rinchiusi per scontare la loro pena e si limitano a dirigere presunte illegalità.