CATANIA – Un’operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Catania, ha portato in stato di fermo diciassette cittadini extracomunitari sospettati di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I reati sarebbero stati commessi in concorso tra più di tre persone, aggravati dal fatto che gli arrestati hanno agito in gruppo di dieci o più individui e con l’obiettivo di trarne profitto anche indiretto e dalla transnazionalità.
L’indagine è stata avviata a seguito del caso di una minore straniera non accompagnata che, giunta in Italia, era decisa a raggiungere la Francia seguendo le istruzioni ricevute in Libia da una donna che le si era presentata come sorella di un soggetto che si occupava di far completare il viaggio dal paese di origine fino alla destinazione finale. Il gruppo criminale individuato era attivo a livello transnazionale e specializzato nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso altri paesi dell’Unione Europea. Il gruppo operava in diverse parti del mondo, tra cui Libia, Guinea, Costa d’Avorio, Tunisia e Marocco, Italia ed in Francia.
Il gruppo criminale aveva una struttura fluida, ma con ruoli ben definiti. Non c’era un capo chiaro, ma ogni gruppo aveva quattro organizzatori. Le quattro entità collettive operavano insieme in modo illecito, utilizzando risorse umane e materiali gestite in modo organizzato. L’obiettivo era commettere diversi reati in un progetto associativo che iniziava all’estero e terminava all’estero, passando solo per l’Italia.
Il gruppo era composto da tre cellule principali: una a Torino e ad Asti, una in Liguria e una a Ventimiglia. Ogni cellula aveva il suo leader e altri affiliati. Inoltre, c’erano due soggetti che agivano come “cerniera” tra i vari gruppi. Durante le indagini, è emersa una disputa tra due gruppi rivali, composti da cittadini nigeriani e francofoni, rispettivamente. Questa tensione potrebbe aver portato a un’aggressione violenta contro uno dei membri del sodalizio, attualmente irreperibile.
Le attività tecniche e tradizionali hanno permesso di scoprire un giro d’affari considerevole, a testimonianza dell’elevato numero di migranti trasportati e assistiti dal gruppo criminale.
Gli arrestati
La Procura della Repubblica di Catania ha coordinato l’operazione della Polizia di Stato che ha portato in stato di fermo i seguenti cittadini extracomunitari: Balde Zeynoule Abidine, Berthe Fode, Diallo Mamadi, Diarrassouba Souleymane, Keita Ibrahim, Sanogo Alfousseni, Touma Hadara Arouna, Doumboya Sidiki, Kone Yacouba, Bayoko Djiguiba, Konate Yaya, Kadouno Abdoulaye Eder, Bamba Abdoul Kader, Bamba Souleymane, Diakite Amadou, Sangarè Ali e Fofana Siriki.
Come è nata l’indagine
L’indagine è stata avviata a seguito del caso di una minore straniera non accompagnata, giunta nel porto di Augusta il 25 gennaio 2021 e collocata in una struttura nel catanese. La minore era decisa a raggiungere la Francia seguendo le istruzioni ricevute in Libia da una donna che le si era presentata come sorella di un soggetto che, in Italia, si occupava di far completare il viaggio dal paese di origine fino alla Francia, passando per l’Italia (soggetto che sarebbe stato identificato in Kadouno Abdoulaye Eder) e che forniva un contatto telefonico.
La minore si allontanava dalla struttura affidandosi al soggetto indicatole in Libia e grazie all’aiuto di lui e degli altri arrestati, riusciva a fuggire tre volte dalle comunità in cui era ospitata, fino a raggiungere il territorio francese.
Il gruppo criminale
Il sodalizio era composto da tre cellule principali: una a Torino e ad Asti, una in Liguria e una a Ventimiglia. Ogni cellula aveva il suo leader e altri affiliati. Inoltre, c’erano due soggetti che agivano come “cerniera” tra i vari gruppi.
Durante le indagini, è emersa una disputa tra due gruppi rivali, composti da cittadini nigeriani e francofoni, rispettivamente. Questa tensione potrebbe aver portato a un’aggressione violenta contro uno dei membri del sodalizio, attualmente irreperibile.
Le attività tecniche e tradizionali hanno permesso di scoprire un giro d’affari considerevole, anche se gran parte dei pagamenti avvenivano in contanti o attraverso il sistema “landaya”. Tuttavia, l’analisi delle carte prepagate utilizzate da alcuni degli indagati ha rivelato l’acquisto online di titoli di viaggio per un importo di circa 26.000 euro.
Nell’indagine sullo smuggling e il trafficking, è stato rilevato che le carte postepay venivano utilizzate solo come contenitori temporanei con un saldo quasi pari a zero. Questo è stato fatto per evitare l’attenzione investigativa sui flussi di denaro sospetti. Inoltre, sono state registrate numerose conversazioni che riguardavano la bellezza e le fattezze fisiche delle migranti di sesso femminile gestite dal sodalizio. In alcuni casi, le migranti venivano costrette a fornire prestazioni sessuali in cambio di denaro. Inoltre, i bambini venivano spesso utilizzati nelle attività illecite e affidati a membri del sodalizio. I migranti erano vulnerabili e venivano confusi da una falsa attenzione ai loro bisogni. Il sodalizio utilizzava varie strategie psicologiche per massimizzare i guadagni derivanti dal numero sempre maggiore di migranti che si rivolgevano a loro. In sostanza, l’obiettivo era di imbrigliare i migranti offrendo loro ciò che volevano e anche di più, in modo da rendergli impossibile il rifiuto del servizio.
Anche un mediatore culturale tra gli arrestati
Alcuni degli indagati avrebbero sfruttato il loro lavoro presso strutture di accoglienza per migranti per accreditarsi presso di loro e ottenere informazioni sulle nazionalità e le età dei nuovi arrivi, al fine di reclutarli come clienti. L’operazione di polizia, chiamata “Landayà” (che significa “fiducia” in lingua dioula), è stata eseguita in collaborazione con uffici investigativi in diverse città italiane. I 25 destinatari del decreto di fermo sono cittadini ivoriani e guineani, in gran parte regolari sul territorio nazionale. Otto di loro non sono stati trovati in Italia. Dopo le formalità di rito, gli indagati sono stati associati presso le case circondariali dei territori interessati. Nonostante le difese non siano ancora intervenute, il quadro indiziario raccolto ha permesso la convalida del provvedimento di fermo e l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.
L’intervista a Francesco Messina – Direttore centrale Anticrimine della Polizia