CATANIA – Dopo 30 anni, Claudio Fava dice addio alla politica e lo fa con un lungo post su Facebook.
“Game Over. Mi fermo qui. Dopo trent’anni di impegno politico mi chiamo fuori”, scrive. La lista Cento Passi, infatti, non ha superato lo sbarramento e quindi è rimasta fuori dalla ripartizione dei seggi.
Ma l’ex presidente della Commissione Antimafia afferma che il risultato non è il motivo principale di questa scelta: “La sconfitta elettorale non c’entra: c’entra la vita. Che ti propone un tempo per tutto: basta essere capaci di ascoltarla”.
“Mi fermo senza rimpianti né recriminazioni. Molto si potrebbe dire e scrivere (e forse, non qui, lo farò) su questa campagna elettorale noiosa e reticente, sulle scelleratezze di un partito democratico che in Sicilia preferisce sempre perdere pur di non rinunciare ai propri minuscoli califfati, su una candidata alla presidenza votata al silenzio (non spendere una sola parola sulle macerie ereditate si chiama silenzio, non ‘sobrietà istituzionale’)”, dichiara.
E ancora: “Ma anche sulle nostre storie a sinistra scritte sempre in punta di diffidenza, di divisione, di purezza della razza, presunzione, ostilità…”.
“Ma il punto, ripeto, non è l’esito di queste elezioni: è la vita che mi sollecita altro, e io le voglio offrire altro. C’entra anche, lo dico per onestà, il mio rapporto faticoso con questa terra. Da quando ho trent’anni ho trascorso il mio tempo a seppellire morti e a cercare nella Sicilia una capacità di verità, di reciproca appartenenza, di condivisione nelle parole, nei gesti, nei dolori, nelle allegrie. A volte ci sono riuscito, a volte no”, specifica.
“Adesso è tempo di altre parole e di altri siciliani. È il tempo di quelli che hanno metà dei nostri anni. Che non hanno nessun morto da seppellire. Che provano rabbia, dolore ma anche curiosità e passione. Che non vogliono diventare anch’essi piccoli califfi d’un partitino. Che scelgono con cura le parole, prima di usarle. Ne conosco molte e molti. Fanno mestieri degni, insegnano, studiano, cercano. Sono sicuro che faranno bene”, prosegue.
“Non servono più parole. Non le mie: le porto altrove, in luoghi e cammini dell’esistenza dove si può far politica anche ascoltando, guardando, sillabando, ricordando, scrivendo. E soprattutto vivendo”, conclude.