Perché tenerle separate? Tre gocce d’acqua sono un corpo unico della legge d’attrazione che le veste con l’uniforme ufficiale di primo soccorso all’arsura.
“Che tu sia lodato, mio Signore, per Sorella acqua la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura“.
San Francesco loda il Creatore per la risorsa da custodire come il più prezioso dei doni. Da uno a tre si attiva una moltiplicazione stanca del giro di lancette precipitato nelle solitudini della vita, quando uno si fa in tre, il pericolo ha già dimenticato il piano malvagio in programma.
Grazie al suo diploma in illustrazione e animazione multimediale, Valentina D’Urbano, scrittrice nonché illustratrice per l’infanzia in case editrici specializzate, nel romanzo “Tre gocce d’acqua” pubblicato da Mondadori nel 2021, ancora una volta dà prova di una scrittura scrupolosa nella descrizione dei fatti e dei tratti caratteriali di ogni singolo personaggio.
Celeste e Nadir sono due gocce d’acqua appartenenti a una foce a estuario. Sangue estraneo scorre nelle vene di ciascuno, nessun legame, nessuna goccia rossa condivisa per dono di Madre Natura. Separati alla nascita, ma attratti da un destino confezionato che li assiste nella crescita l’uno accanto all’altro, Celeste e Nadir sono uniti da una certezza confusa di una parentela acquisita. Nodo centrale dell’anomalo nucleo familiare è Pietro, fratello di Celeste da parte di padre e di Nadir da parte di madre.
“Che non eravamo fratelli. Che non si sapeva cosa fossimo, non c’era un grado di parentela per descriverci. Non era certo una cosa che capitava a chiunque“.
Fino a quando l’anello di congiunzione non si spezzerà, la storia di tre gocce d’acqua troverà orecchie ansiose di ascoltare tutte le fasi del gioco duro del destino. A volte impietoso, altre fin troppo generoso, mai uguale al disegno ispirato da una piuma nel libro aperto oltre la Terra.
Celeste incarna una presenza fragile, gravata da una malattia che la assimila a un cristallo in pericolo se protagonista del più piccolo urto. È affetta da una rara malattia genetica, basta davvero poco perché le sue ossa si frantumino come schegge di vetro. Nadir è orgoglioso di non dimostrare alcuna dose d’empatia nei confronti di Celeste, piuttosto minaccia indifferenza davanti alla supplica di uno sguardo.
Una donna, due uomini. Il tempo forma e deforma lo sviluppo di un bambino mentre abbandona la pelle profumata di latte.
Celeste donna adulta, tiene strette a sé le immagini mentali di tre gocce d’acqua refrattarie a diventare una con un mare in comune.
E poi Pietro, il quasi fratello più grande a cui Celeste e Nadir affidano le sorti instaurando una intensa dipendenza di affetti. Si dà inizio a un rapporto assimilato a una gara di devozione il cui esito nominerà vincitore il fratello (o la sorella) più vicino a Pietro.
Il fluire degli eventi impone scelte mai previste nemmeno dal più saggio dei ragionamenti. Sotto lo stesso arco prestato a riparo dei sentimenti, il fiume di folla umana scorre ignaro dell’inganno di un nuovo orizzonte contrario. L’amore si anestetizza nel sentimento pacato della complicità, l’odio si addormenta tra i ricordi sensibili al passato remoto di un tempo ormai esanime.
“In questa vita niente e nessuno ci appartiene davvero, e arriva il momento in cui ognuno di noi deve restituire qualcosa al mondo“.
Nel romanzo, le tappe dell’età sono scandite da un bagaglio di presenze affidate alla crescita per essere poi consegnate al treno in partenza. Appare chiaro che il lettore si schieri a favore dell’uno o dell’altro personaggio. Celeste, Nadir e Pietro sono fratelli ma lontani da traiettorie le cui impronte hanno origine nei primi anni di vita.
Lasciato sedimentare, in Celeste il distintivo sottopelle ha dato prova di coraggio nella convivenza con la sua malattia, sfidata da un tuffo breve eppure rigenerante nell’onda imperiosa di un sentimento.
Fraternità ma non troppo, il rapporto tra Celeste e Nadir oscilla ai margini di una dimensione equivoca, senza però scivolare in un pantano ossessivo. Attira a sé tutte le attenzioni il temperamento ribelle di Nadir, in ogni occasione sopra le righe, amico nemico della goccia complice delle sue pericolose follie.
“Le parole creano recinti, corde, un cappio che non stringe ma resta lì a segarti il collo per tutta la vita. Allora meglio così, dimenticarsene, lasciar perdere, semplificare le cose e fingerci normali“.
A chiamarlo per nome, intesa e riconciliazione di tre fratelli mai stati parenti non darebbe merito al vero significato del rapporto. La maglia che stringe e che allenta è stata collocata al centro della storia per servire sul piatto d’onore il valore della Famiglia. È quindi analisi ovvia che il primo nucleo della società preso in esame, sia culla di conflitti maturati nel graffio della gelosia, del rancore sopito per troppi, lunghissimi anni.
“Tre gocce d’acqua” nel ventaglio di un quarto di secolo sperimentano le fasi della crescita insidiata dai dolori e dagli amori in balìa di una roulette russa, rosso a fiotti sul nero perdente, domina la paura, stanca di vivere in compagnia di sé stessa. Da adulti, le gocce si ritrovano chicchi di grandine memori della reciprocità di intenti accuditi, ma soprattutto sorvegliati nei momenti di crisi familiare.
L’indagine sociologica sulle relazioni familiari trasferita dentro un romanzo da Valentina D’Urbano, si chiude con il valore dei legami indissolubili sebbene siano estranei ai chilometri di vene viaggiatrici in solitaria.