NICOSIA – Chiamarlo paese è certamente riduttivo, un termine che se reiteratamente usato per identificarlo correremo il rischio di trascendere in offesa. Siamo quasi al centro della Sicilia, in quella area dove la storia è stata scritta insieme o forse prima di altre: Nicosia ovvero “La città dei 24 baroni”. Si respira aria di nobiltà in ogni dove, tra le sue viuzze, ammirando alcune delle oltre cento chiese, inerpicandosi nella città antica fino al Castello e ammirando i suoi ventiquattro (?) Palazzi Baronali, da cui il soprannome ne ha accresciuto il mito.
La sorte è stata generosa nei nostri confronti, perché in questo articolato mini-tour siamo stati “scortati” culturalmente da Nino Contino, professore autoctono di storia e latino, nonché cultore della sua città. Inoltre, indispensabile il supporto “logistico” e di accompagnatore di Salvo Maugeri, altro nicosiano appassionato della sua terra natia.
Quasi inevitabile l’incipit del professore che prende spunto dalle origini del particolare dialetto che contraddistingue la parlata dei nicosiani. Una storia che non riserva nulla di nuovo sotto il Sole di una terra, come la nostra regione, oggetto di conquista e colonizzazione da… sempre. Così scopriamo che l’antico idioma si rifà al gallico/italico, quella Gallia “al di qua delle Alpi” per una voluta migrazione di una parte della popolazione dalla Lombardia e dal Piemonte fino alla Sicilia, radicandosi nelle zone interne. Una iniziativa voluta dal re normanno Ruggero I ma ancor più da sua moglie, la principessa figlia di Manfredi del Monferrato, allo scopo di colonizzare parte della Sicilia per distinguere la parte latina da quella araba. Una commistione di etnie ancor palpabile, anzi udibile, tutt’oggi nel dialetto cominciando dalla numerazione dove non possono sfuggire all’orecchio alcune cadenze francesi, un esempio su tutti, di quanto affermato, è stato il poeta Carmelo La Giglia che ha scritto le sue opere proprio in gallo/italico e di cui, lo scorso marzo, sono stati celebrati i cento anni dalla sua morte.
Anche i tratti somatici di alcuni abitanti, con occhi azzurri e capelli biondi, richiamano, inevitabilmente, alla mente le famose fattezze normanne.
Nicosia è anche sede vescovile dal 1817 ed ha avuto perfino un Papa (Leone II) ci tiene a precisare, con malcelato orgoglio, il nostro accompagnatore Salvo Maugeri, vanto rimarcato anche dal professore Contino, tutto questo prima di iniziare il mini-tour su alcuni dei numerosi palazzi baronali. Ed è del Cinquecento uno degli edifici più antichi, come quello di Speciale dei duchi di Valverde, a catturare la nostra attenzione in un susseguirsi di opere architettoniche che ci chiariscono, ad ogni passo, quella scritta che campeggia in ogni dove:
“La città dei 24 baroni”.
Così si prosegue con palazzo Cirino, Gentile di Marocco, La Motta di San Silvestro, per poi rimanere spiacevolmente sorpresi sapere che due edifici baronali non esistono più, abbattuti dalla dabbenaggine umana e sostituiti con una bruttura, e una modernità, che stridono non poco con la raffinatezza degli edifici fin qui ammirati. Ma da dove scaturisce la presenza di tanta nobiltà?
Naturalmente dalle ricche terre, suddivise in feudi, che alimentavano un indotto economico da fare invidia a grosse realtà come Palermo e Catania.
Irrisolto dubbio, ma giusto per aggiungere sale al racconto, è quel precedente punto interrogativo racchiuso tra parentesi riguardante il numero dei baroni che, secondo il professore Contino, si attesterebbero a sedici non essendoci documenti/testimonianze che confermino la presenza di altri otto titolati con annessi palazzi. Una querelle che da tempo tiene acceso un dibattito tutto nicosiano e di difficile soluzione. Sottoposti alla tirannia del tempo, siamo costretti a spostare l’asse del nostro giro turistico sull’altra preponderante attrazione turistica/culturale nicosiana: le chiese, oltre un centinaio e data l’evidente impossibilità di visitarle tutte, scegliamo le due principali come la Cattedrale di San Nicola e Santa Maria Maggiore. Due centri di culto storicamente famose anche per le acerrime contrapposizioni tra i due più importanti quartieri nicosiani che sfociavano sempre in liti, senza esclusione di colpi, durante la processione dei crocifissi il Venerdì Santo.
Al nostro ingresso in Cattedrale ci accompagna una musica celestiale di un organo del Seicento quasi completamente ricostruito, ma utilizzando moltissimi pezzi del vecchio strumento. Ci soffermiamo davanti al Crocifisso “Padre della Provvidenza” con le sue dorature ricoperte nel tempo dal fumo delle candele e finalmente riapparse dopo il restauro.
Sontuosa l’opera in noce del Coro scolpito da Giovanbattista e Stefano Li Volsi del 1626 con il panorama di Nicosia nel primo dei riquadri. Mentre il Portico della Cattedrale presenta uno stile gotico e porta la firma degli scultori Gabriele De Battista e Andrea Mancino. La costruzione risalirebbe al 1489.
Nel pomeriggio raggiungiamo la zona alta della cittadina per visitare i ruderi del castello e l’antica chiesa di S. Maria Maggiore meta, in passato, di Re ed Imperatori, in particolare, testimone il trono, fu celebre la visita di Carlo V proveniente dalla Tunisia. La vita notturna arricchita da diversi pub dove pullulano centinaia di giovani, e la possibilità di banchettare, alle due di notte, con il pane condito appena sfornato, sono l’ennesima dimostrazione del pluralismo non solo culturale, ma anche sociale che offre questo centro posto nel cuore della Sicilia a sua volta ombelico del Mondo.
E se nobiltà e blasone doveva essere, proprio qui a Nicosia, è fuor di dubbio, siamo nella giusta latitudine e longitudine.