Un DDL proposto di recente da Marco Meloni potrebbe, nel giro di pochissimo tempo, deprezzare tutte le lauree conseguite negli atenei meridionali. Aver studiato in una università del sud, persino in sede di concorso pubblico, potrebbe costituire una discriminante in senso negativo.
Alla proposta si è opposto con forza il Movimento 5 Stelle che, nella persona del portavoce Francesco D’Uva ha affermato: “Sappiamo benissimo che, in Italia, il meccanismo ricerca-ottenimento del lavoro dipende in gran parte dalle amicizie, dalle conoscenze, dalle parentele, dagli amici degli amici, ma credevamo che il criterio per l’accesso ai concorsi pubblici fosse e rimanesse equo per tutti (come sarebbe giusto in un paese democratico). Stanno creando una società a caste basate sul reddito e sulla geografia, stracciando le possibilità di futuro di quegli studenti che decidono di intraprendere i loro studi al Sud“.
Nonostante tutte queste contestazioni però il DDL ieri è passato alla Camera. Ciò significa che la strada verso la legalizzazione di questa proposta si è ulteriormente accorciata. Ma vuol dire anche che la maggior parte dei laureati che hanno conseguito il loro titolo di studio in un ateneo meridionale dovranno fare i conti con l’Anvur, Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e di Ricerca; l’ente purtroppo pone molte delle università del sud in posizioni poco edificanti; fanalino di coda ad esempio è l’Università degli Studi di Messina.
Per questo motivo quindi, a prescindere dall’onestà intellettuale con cui ogni singolo studente ha conseguito la laurea, ci si potrebbe trovare nella soluzione prospettata da Francesco d’Uva: “Credevamo che un messinese (laureato all’Università degli Studi di Messina) che volesse candidarsi ad un posto nella Pubblica Amministrazione partisse dalla stessa base di un suo coetaneo laureato alla IULM. Ebbene, non sarà più così! Quel suo 110 e lode, grazie al nuovo emendamento, varrà meno del 110 e lode dell’altro! E non è una vergogna? Vogliono chiaramente dirci che a Messina, ad esempio, l’università è “più larga di voti”, che i 110 vengono quasi regalati, che valgono poco. Hanno calpestato e tagliato tutto: diritto allo studio, fondi alla ricerca, borse di specializzazione, cultura. E adesso tagliano anche la meritocrazia. È l’ora di agire, al di là di ogni colore politico, perché questa è una battaglia che interessa tutti, questa è una battaglia per la democrazia, per l’uguaglianza, per il futuro”.
Ancora una volta quindi si parla di meritocrazia in sede universitaria, purtroppo però non sembra si sia ancora trovato il criterio migliore per dar voce all’esigenza di milioni di laureati o laureandi che vorrebbero semplicemente ottenere una ricompensa per i loro sforzi.