CATANIA – Ha avuto luogo stamattina al cinema King di Catania un incontro che, rivolto agli studenti del liceo classico Nicola Spedalieri, ha visto la partecipazione di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Borsellino, ucciso trent’anni anni fa per mano mafiosa nella strage di via d’Amelio.
La testimonianza della dottoressa Borsellino ha consentito di ricordare, soprattutto ai giovani, l’impegno e la determinazione del padre che – insieme ad altri colleghi – è stato disposto a mettere a rischio la propria vita pur di continuare la sua lotta contro la criminalità organizzata.
Riferendosi proprio a Borsellino e agli altri magistrati – primo tra tutti Giovanni Falcone – che hanno lavorato al fianco del padre, Fiammetta ha dichiarato: “Il loro è stato un vero e proprio atto d’amore, finalizzato a liberare la nostra terra dalla schiavitù mafiosa“.
“Contrariamente a come talvolta si può pensare – ha continuato la dottoressa Borsellino durante i suoi interventi – la criminalità organizzata è un problema che non riguarda solo i magistrati e i poliziotti. Riguarda tutti. Mio padre ne era fortemente cosciente“.
Fiammetta Borsellino ha voluto più volte sottolineare con convinzione anche l’importante ruolo della scuola e della cultura, che rappresentano la prima arma per combattere l’ignoranza di cui si nutre la mafia: “La scuola è importante, non tanto perché dovete seguire dei programmi didattici – ha detto agli studenti – ma soprattutto perché vi aiuta a pensare con la vostra testa“.
La mafia esiste ancora, anche a distanza di trent’anni dalle stragi di Falcone e Borsellino. Sebbene la mancanza di spargimento di sangue possa far credere il contrario – ha sottolineato la dottoressa – le organizzazioni mafiosi sono ancora ben radicate nel territorio. Hanno solo cambiato volto, decidendo di continuare a perseguire i loro obiettivi – il denaro e il potere – nel modo più subdolo.
Paolo Borsellino nel privato: il racconto della figlia
Tra le curiose domande poste a Fiammetta Borsellino da parte degli studenti, non sono mancate certamente quelle finalizzate a conoscere anche l’aspetto più intimo e personale di Borsellino.
Nel momento in cui una studentessa ha chiesto a Fiammetta di parlarle del padre, la figlia del magistrato ha risposto così: “Io, i miei fratelli e mia madre abbiamo accompagnato mio padre in questo percorso. Non gli abbiamo mai chiesto di fermarsi, né tantomeno messo i bastoni tra le ruote perché noi eravamo convinti di percorrere la strada del bene. Questa consapevolezza ci ha fatto superare la paura. Ci ha fatto talvolta quasi non vedere quei pericoli che potevamo toccare con mano. Noi siamo sempre stati convinti che questa potesse essere l’unica strada percorribile“.
“Questo non vuol dire – ha specificato – che abbiamo vissuto una vita di sacrifici o che vivevano chiusi in casa. Mio padre ci ha lasciati liberi di fare le nostre esperienze, di uscire, di muoverci a Palermo da soli. Contemporaneamente però vivevamo una realtà quasi anormale: era chiara per noi la situazione di pericolo, la precarietà data dal vedere un padre che ha dovuto accettare di spostarsi solo in presenza della scorta“.
Processo strage via d’Amelio, la verità è ancora lontana
Fiammetta Borsellino ha anche parlato agli studenti del processo sulla strage in via d’Amelio. Dalle sue parole è impossibile non notare un senso di amarezza dovuta al fatto che nonostante siano trascorsi trent’anni dalla strage, il raggiungimento della verità non sembra altro che un lontano miraggio.
“Oggi a distanza di trent’anni – ha affermato – la strage in via d’Amelio è studiata come uno dei casi esemplari di cattiva pratica investigativa. È stato fatto tutto il contrario di quello che andava fatto: sono state nascoste prove, non è stato tutelato il luogo della strage. Sono state tralasciate le regole basilari a cui bisogna attenersi in questi casi“.
Allo stesso tempo però la dottoressa ha rassicurato i presenti raccomandando loro di non lasciarsi condizionare esclusivamente dalle “colpe” dello Stato, infatti ha dichiarato: “Questo però non deve provocare in noi un atteggiamento di sfiducia verso lo Stato. So che è un concetto complesso, ma è importante ricordare che la Sicilia non è solo terra di mafia, ma anche ha saputo partorire i migliori esempi passati e attuali di lotta contro la mafia. Noi dobbiamo esserne coscienti“.
“È facile concentrarsi sulle cose negative – ha continuato – ma bisogna saper guardare agli esempi positivi e guardare avanti. Falcone infatti diceva: ‘È tempo di andare avanti‘. Se queste persone alle prime delusioni si fossero arrese, oggi questo metodo di lotta alla criminalità organizzata non avrebbe l’importanza attuale e non sarebbe studiato in tutto il mondo“.
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