L’assegno di divorzio va ridotto se l’ex coniuge viene trasferito nella sede di lavoro della città di provenienza. Lo ha stabilito la Cassazione, VI Sezione Civile, con ordinanza n. 5877/2022 con la quale è stato accolto il ricorso di un marito.
Il caso
In primo grado il Tribunale di Pescara pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi e poneva a carico del marito l’obbligo di versare in favore dell’ex moglie un assegno divorzile di 250 euro al mese e in favore della figlia maggiorenne ma non autosufficiente un contributo al mantenimento di 500 euro mensili.
Decisione che veniva confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. Il collegio rigettava l’appello principale ed incidentale presentato rispettivamente dalle parti, asserendo che l’importo dell’assegno fosse adeguato. Ciò per due ragioni:
- durante il matrimonio, celebrato nel 1988, la donna si era dedicata esclusivamente alla famiglia e alla figlia, cominciando a lavorare solo nel 2014;
- la sede lavorativa, tuttavia, si trovava in provincia di Varese e l’assegno l’avrebbe aiutata a sostenere le spese di soggiorno.
L’uomo proponeva ricorso in Cassazione, poiché la Corte d’appello aveva omesso di considerare che nel frattempo l’ex moglie era stata trasferita a casa, a Pescara, e dunque venivano meno le spese di soggiorno di cui era gravata in precedenza.
Cassazione: l’assegno di divorzio va ridotto se si rientra a casa
La Suprema Corte, con sentenza n. 5877/2022, decide in favore del ricorrente.
Gli Ermellini concordano con l’uomo e con la circostanza che la Corte territoriale abbia omesso di considerare il trasferimento a casa della donna ai fini della rideterminazione dell’assegno divorzile. Eppure era un “fatto decisivo per la definizione della causa, se si considera che il Tribunale ne aveva ampiamente tenuto conto nel liquidare l’assegno stesso a favore dell’ex moglie nella somma mensile di euro 250,00”.
Cioè, se l’importo iniziale dell’assegno è stato stabilito in base alla circostanza che la donna lavorava lontano da casa, non si vede perché non si debba prendere in considerazione il fatto inverso, ossia il rientro a Pescara, per una nuova definizione dell’assegno.
La Corte ritiene, di conseguenza, infondato quanto dedotto dalla controricorrente, e cioè che sarebbe stato sufficiente “il solo contributo apportato dalla stessa alla vita coniugale, valutabile economicamente come risparmio di spese”.
Ciò dal momento che i giudici di merito, per stabilire l’assegno, hanno considerato anche l’aumento di spese a carico della donna per via del suo soggiorno in una sede distante.
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