L’incapacità di ascolto del medico rappresenta un ostacolo importante alla comunicazione fra lo stesso ed il paziente. Il malato infatti tiene molto in considerazione il tempo trascorso col medico durante la visita e preferisce visite più lunghe e accurate perché determinano un migliore risultato terapeutico, proprio il tempo dedicato al malato è considerato un importante indicatore di qualità della cura. Avendo più tempo a disposizione, sia il malato che il medico risulteranno più soddisfatti, con una migliore comunicazione interpersonale e maggiore accuratezza nel rilevare i problemi, specie quelli di natura psicologica, con miglioramento della educazione sanitaria.
Un medico che ha una lunga consultazione ha in genere, minore probabilità di avere contenzioso con il malato. Nel caso specifico del medico di medicina generale, nonostante una durata della consultazione non elevata, in media sette minuti, si devono tenere in conto le frequenti consultazioni, per cui visto l’elevato numero di queste ultime, almeno sette l’anno, si ha mediamente circa cinquanta minuti di discussione annua per ogni malato, necessaria per creare un buon rapporto interpersonale. La fretta naturalmente compromette la relazione per cui occorre una buona organizzazione per evitare giudizi frettolosi. Il malato percepisce meglio le indicazioni apprese all’inizio della visita, tuttavia non bisogna dare informazioni complesse, ma piccole dosi delle stesse ogni volta, spalmandole nel tempo.
Un aspetto importante della relazione medico-paziente è la negoziazione anche se i due attori non ne sono consapevoli. Lo stile negoziale si addice alla medicina generale, comunicazione e negoziazione infatti sono strumenti fondamentali per risolvere gli inevitabili conflitti. La conflittualità non va drammatizzata e non deve essere considerata una minaccia alla autorevolezza del medico, quindi non è una sfida da vincere a tutti i costi. Il metodo migliore per superare il conflitto non è imporsi perché si rompe il rapporto di fiducia che si è costruito nel tempo, fondamentale piuttosto è l’ascolto attivo, utile per accompagnare la persona malata lungo un percorso.
Se non possiamo cambiare qualcosa, lo dobbiamo accettare con serenità. La comunicazione è terapeutica, consiste nel prendersi cura del paziente, cogliere gli aspetti verbali e non verbali, quelli emozionali e comportamentali. Il medico di famiglia acquisisce una abilità nel comunicare con il tempo, con la pratica effettiva anche se è possibile migliorare la capacità di comunicare con interventi formativi mirati. In ogni individuo può infatti aversi una reazione agli stimoli del tutto personale, per cui eventi per alcuni poco significativi, possono scatenare per altri intense emozioni, anche intollerabili, in rapporto alla sensibilità individuale, alle esperienze personali di vita, allo stato affettivo momentaneo. Si dovranno comprendere le dinamiche familiari in quanto aiutano a capire il malato.
Affinarsi nelle proprie capacità emozionali richiede tempo e formazione, esperienza, conservando un certo distacco emotivo pur partecipando alle tribolazioni del malato. Non è facile attuare l’atteggiamento assertivo in quanto bisogna tener conto sia delle personali esperienze ed esigenze che di quelle dei pazienti. Negli ospedali e nelle divisioni clinicizzate tuttavia, studenti e specializzandi sembra perdano la loro sensibilità umana e l’empatia nei confronti delle persone sofferenti. Sembra che la modernità e la tecnologia facciano perdere la fondamentale importanza della storia clinica, raccontata dal malato. Non può non essere detto invece, che la storia clinica in era tecnologica, conserva la straordinaria importanza di sempre in quanto orienta la diagnosi e le scelte del medico.
Ascoltare il paziente è essenziale per avviare un rapporto inter umano di fiducia e vicinanza. Al malato in gravi condizioni non può, né deve mancare il sostegno morale del suo medico. Alla competenza clinica si dovrà associare sempre il rapporto interpersonale, il rispetto e l’empatia. Avere cura comprende proprio la capacità di ascoltare ed avere rispetto dell’uomo sofferente.
Non possono i medici aspettare di essere ammalati per comprendere il disagio dovuto alla sofferenza, né deve essere ignorato il paziente come persona. Oggetto della cura è la persona nel suo complesso per cui bisogna tenere conto anche della prospettiva del malato cioè della interpretazione che dà alla sua malattia, considerando la risposta emotiva allo stare male.
Non ci sono schemi predefiniti per la relazione medico paziente in quanto ogni malato è un caso a sé.