CATANIA – Reduce da un ultimo e appassionante incontro andato in onda su Rai Sport, Giancarlo Zignale torna a parlare ai microfoni di NewSicilia: sono passati ben due anni da quando l’atleta ha varcato per la prima volta la soglia della nostra redazione e le cose sono cambiate in meglio per quello che si spera sia il futuro della kickboxing italiana, rigorosamente Made in Catania.
Ancora una volta, dunque, l’ormai 20enne si racconta dopo le vittorie sul podio ai campionati italiani e mondiali.
Cosa è successo in questi due anni?
“Ho vissuto un grande cambiamento e non solo dal punto di vista del mio allenamento, ma mentalmente. L’ultima volta che sono venuto qui, non praticavo sport per professione: oggi è il mio lavoro. Il bello è proprio quando riesci a trasformare il tuo hobby in qualcosa di più. Fino a due anni fa non avevo mai fatto esperienze fuori dall’Italia, avevo soltanto gareggiato al mondiale piazzandomi al terzo posto, ma non è la stessa cosa di vivere un periodo fuori e stare da solo”, inizia a raccontare.
C’è da dire infatti che Giancarlo è tornato da poco in Sicilia dopo una splendida esperienza in Olanda durata ben 2 mesi: “Parliamo di una palestra tra le più importanti al mondo in cui i ragazzi si allenano con un grande allenatore come Mike Passenier e gareggiano in uno dei circuiti maggiori, la Glory Kickboxing“.
Una vita di sacrifici
“Per raggiungere i propri obiettivi bisogna fare tanti sacrifici. Ogni mattina andavo in palestra, mi allenavo alle 7 del mattino, poi tornavo a casa, mangiavo, mi riposavo e il pomeriggio tornavo ad allenarmi di nuovo. Per diventare qualcuno bisogna fare rinunce e sacrifici e diciamo che da questo punto di vista sono cambiato tanto mentalmente. Per questo sono contento dei passi che ho fatto finora, perché per la mia età ho comunque fatto moltissimo. Ma questo è solo l’inizio perché voglio riuscire a prendermi tutto, magari anche aprire una mia palestra – perché è il mio obiettivo secondario quello di poter lavorare come allenatore – perché la verità è che è difficile oggi vivere di questo sport, soprattutto in Italia, ma riesci a guadagnare quando diventi una figura di riferimento, lavori sul tuo nome e sulla tua presenza”, continua.
Anche se nessuno ci crede…
“La verità è che tante persone non hanno mai creduto in me. ‘Magari è un gioco‘, ‘Magari non non arrivi a fare realmente questo come lavoro’, ma la mia forza è stata sempre credere in me stesso senza arroganza, ripetendo come un mantra che ciò che non sono riuscito a fare oggi, riuscirò a farlo domani. Questo mi ha dato la forza per non arrendermi mai anche quando cadendo in tanti dicevano che non era la mia strada inducendomi a pensare di star perdendo solo tempo”.
“Se credi in te stesso, però, se ti convinci che ce la farai, se ti impegni, allora puoi arrivare ovunque. Partire da solo e andare in Olanda per tutto quel tempo non è stato facile: era estate e tutti i miei amici erano liberi di uscire e divertirsi, mentre io continuavo con la mia routine sveglia-allenamento-pranzo-allenamento-sonno. Sono riuscito a ‘sopravvivere’ a questa vita perché sapevo che questi sacrifici mi avrebbero portato avanti, in alto dove volevo arrivare“, prosegue.
E lo studio?
“Lo studio per me è importante. Sto studiando Scienze Motorie all’università e, oltre a credere che sia necessario, mi rendo anche conto del fatto che questo corso di studi è strettamente collegato a quello che faccio nella mia vita. Non mento, lo studio non è la prima cosa a cui penso, ma credo fermamente nell’importanza che ti dà nella vita avere un titolo. Sarà utile quando avrò la mia palestra“, aggiunge.
Principalmente – ha svelato Giancarlo – lo studio è anche una “concessione” fatta alla madre che, un po’ spaventata come tutte le mamme, non ha mai visto il figlio combattere in 10 anni. Al contrario, una forte spinta arriva da suo padre.
L’ostacolo più grande
Nel mondo dello sport e nella vita di qualunque atleta c’è sempre stato un ostacolo più grande degli altri, uno scoglio particolarmente difficile da superare. Giancarlo Zignale ne ha parlato ai microfoni di NewSicilia in una video intervista, concedendo ai lettori anche una chicca che fa molto ridere, ma anche riflettere:
Sei scaramantico? Segui qualche “rito” prima di iniziare un combattimento?
“No, non molto sinceramente. Non ho nemmeno un portafortuna“, ride.
Aggiunge: “Però cerco di stare da solo quei 30-40 minuti, provo a pensare al fatto che io ho lavorato per tanto tempo, ho fatto questo e quest’altro per arrivare qui, quindi adesso devo andare lì sopra e devo dimostrare agli altri che ho lavorato duro, che ho fatto sacrifici, che non ho solo parlato e basta. Perché molte volte la gente pensa che le tue siano solo chiacchiere, che quello che fai possono farlo un po’ tutti, fino a quando non arrivi a un certo livello le persone ti diranno sempre che non è niente di eccezionale, fin quando poi non ti vedono vincere e dimostrare chi sei davvero”.
Sport e violenza, combattere ti rende cattivo?
“Molte persone pensano che questo sia uno sport praticato da persone violente ma non è affatto così. C’è chi lo pratica solo per tenersi in forma come ad esempio Elisabetta Canalis. Ovviamente per chi come me gareggia a livelli agonistici la cattiveria è importante ma nel senso sportivo del termine. Devi essere preparato quando sali sul ring dove c’è sempre rispetto, tanto che appena finisce il match ci abbracciamo e torniamo tutti amici. Non c’è mai odio. I due sfidanti si sono regalati a vicenda un grandissimo insegnamento che vale sia per chi ha perso che per chi ha vinto: chi ha vinto dovrà migliorarsi e chi ha perso dovrà capire in cosa ha sbagliato e sapere che quell’errore è il punto da cui ripartire la prossima volta”, racconta Giancarlo.
E i bambini? Non c’è il rischio che crescano con un’indole violenta?
“Per i bambini – inizia – è un po’ diverso il discorso, perché qui non dipende tanto da loro ma dalla figura che hanno davanti, dall’allenatore. Se l’allenatore sa allenarli con disciplina va bene, ma se li lascia a briglie sciolte e magari in palestra li vedi che corrono e fanno solo casino non concludi niente. Molte volte qua in Italia si imposta l’allenamento dei bambini come un gioco, io non sono tanto d’accordo e questo per tutti gli sport perché si pensa solo a farli divertire, a far passare loro del tempo. Questo non insegnerà mai loro la disciplina, il lavoro di squadra. Ovviamente gli allenamenti devono essere tarati per le loro età, ma non per questo bisogna ‘censurare’ la parte ‘aggressiva’ dello sport (dove ovviamente per aggressivo non si intende la mancanza di rispetto per l’avversario o la mera voglia di fare del male, ma l’abitudine allo sport di contatto)“.
“A me piace molto allenare i bambini perché amo vederli crescere, impostarli, vedere come lo sport li aiuti a creare autostima, a relazionarsi con gli altri. Non è vero che diventano violenti, questa cosa per me non esiste, per me questo sport non porta violenza. Se una persona è incline alla violenza lo è già di suo, se qualcuno decide di fare una rissa in strada non lo fa perché gliel’hanno insegnato in palestra“, conclude.
Non resta allora che sperare insieme a Giancarlo che uno sport come la kickboxing possa avere la sua rivalsa in Italia e in Sicilia, dove intanto un “piccolo” campione sta scolpendo il suo grande futuro.