CATANIA – In occasione della Giornata nazionale della salute della donna (22 aprile) pubblichiamo di seguito il report dell’incontro organizzato da Spi Cgil.
“Uomini e donne sono diversi in salute e in malattia. Ed è proprio di queste differenze, anche in termini di accesso alle cure, che si occupa la medicina di genere, una recente branca al centro di un incontro online promosso dallo Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil, tenutosi in vista della Giornata nazionale della salute della donna del 22 aprile”.
I lavori dal titolo ‘Medicina di genere, scienza delle differenze’, sono stati coordinati da Carmelo De Caudo, segretario generale Spi Cgil di Catania che ha sottolineato “come la medicina di genere sia anche un’esigenza del servizio sanitario nazionale. Per questo abbiamo deciso di dedicare la giusta attenzione a questo tema, che ci tocca da vicino anche in termini di attenzione al territorio”.
Per Giacomo Rota, segretario generale Cgil Catania, “abbiamo tutti bisogno di approfondimenti tematici su argomenti di cui non sempre si coglie l’importanza e questa ci appare come una grande possibilità offerta dallo Spi”.
Di questo tema già da qualche tempo si occupa lo Spi Cgil di Catania attraverso Margherita Patti, segretaria provinciale nonché responsabile delle Politiche di genere, affrontando il tutto sia in termini di diritto alla salute sia in termini di spesa pubblica in merito ai ricoveri.
I dettagli del report
“I numeri messi a disposizione dell’Assessorato regionale alla Salute, relativi alle cause di decesso tra donne e uomini nel catanese parlano da soli: Catania conta 1.087.682 abitanti così distribuiti, 524.956 di sesso maschile, 562.726 di sesso femminile. L’analisi della distribuzione per numero assoluto e della mortalità proporzionale alle grandi categorie diagnostiche, conferma come la prima causa di morte nell’intera provincia di Catania sia costituita dalle malattie del sistema circolatorio che sostengono da sole quasi la metà dei decessi nelle donne e insieme alla seconda, i tumori, più dei 2/3 dei decessi avvenuti nel periodo in esame degli uomini”.
“La terza causa negli uomini è rappresentata dalle malattie respiratorie e nelle donne dal raggruppamento delle malattie metaboliche ed endocrine (per la quasi totalità sostenuta dal diabete). Per quanto riguarda la mortalità per malattie dell’apparato circolatorio a Catania si registra per gli uomini un numero medio annuale di 1806 decessi in proporzione 38,8% mentre nelle donne 2149 decessi annuali, con una proporzione del 46,6%. Si nota che nelle malattie cerebrovascolari il numero di decessi siano pari al 13% negli uomini e del 18,5% nelle donne. L’ipertensione arteriosa risulta pari al 5,0% negli uomini contro il 7,9% nelle donne; il diabete mellito si osserva nel 4,4% negli uomini contro il 5,7% delle donne”.
“Il tumore alla mammella è relegato al 4,3%. Se poi si guarda a un’analisi per gli anni di vita perduta rispetto all’età stabilita di 75 anni, possiamo notare come a Catania tra le prime cause che si evidenziano negli uomini oltre alle malattie circolatorie, i tumori della trachea, dei bronchi e dei polmoni (seconda causa tra gli uomini) e la cirrosi (quinta causa) mentre tra le donne si conferma l’alto impatto in termini di mortalità prematura del tumore della mammella anche a Catania come nel resto della Sicilia. In parole povere, le donne hanno paura di ammalarsi di cancro al seno, ma in realtà le malattie cardiovascolari uccidono molto di più di quelle oncologiche“.
Proprio sui dati è possibile avviare un nuovo ragionamento, anche su base territoriale: “Ma le medicine si studiano sui maschi – sottolinea nella sua relazione Margherita Patti – La gran parte del lavoro sperimentale non tiene infatti adeguatamente in considerazione il corredo cromosomico dei modelli cellulari o il sesso degli animali utilizzati, nonché le possibili conseguenze derivanti dall’ignorare questa variabile biologica, da qui l’importanza di utilizzare modelli sperimentali secondo una distribuzione bilanciata e rigorosa tra maschi e femmine. Attualmente in circa l’80% degli studi effettuati in vitro su modelli cellulari non viene specificato il sesso di origine del donatore”. Uomini e donne possono presentare inoltre una diversa risposta alle terapie e reazioni avverse ai farmaci.
“Anche nei vaccini è noto che le donne sviluppano risposte immunitarie innate e acquisite, sia umorali che cellulo-mediate, più intense che negli uomini, e manifestano più spesso reazioni avverse ai vaccini. Che fare allora? Cosa chiede il sindacato? Prima di tutto la promozione di un’attività scientifica, di ricerca e di formazione con un’ottica di genere, e finanziamenti dedicati, ma anche raccogliere dati disaggregati per sesso e tenere conto delle differenze sia fisiche, che psichiche tra i due sessi; sviluppare attività di prevenzione e individuare fattori di rischio sesso e genere-specifici in tutte le aree della medicina; sviluppare percorsi di diagnosi e cura definiti e orientati al genere e molto altro. Le Aziende sanitarie dovrebbero dunque formare e informare il personale sanitario già attivo e includere gli aspetti di genere nella raccolta e nell’elaborazione dei flussi informativi e nella formulazione dei budget“.
“Sarebbe essenziale che tra i parametri di valutazione degli Atenei venissero inclusi indicatori sulla presenza di strutture di ricerca sui temi del genere e di iniziative didattiche e formative che abbiano il genere tra i contenuti. Marcella Renis, docente ordinaria di Biochimica clinica e molecolare al dipartimento Scienze del farmaco dell’Università di Catania, ha subito posto l’accento su tre concetti che sfuggono ancora alla comprensione del grande pubblico ossia l’epigenetica, (”immaginiamo che il programma genetico sia uno spartito musicale (il DNA) molto complesso. Senza un’orchestra di cellule (i musicisti) e di epigenotipo (gli strumenti musicali), non produrrebbe alcuna armoniosa musica. Quindi, i geni non sono il nostro destino, perché i fattori epigenetici, come un direttore d’orchestra ‘decidono la dinamica dell’esecuzione di una sinfonia”), il microbiota intestinale che regola la comunicazione bidirezionale tra intestino e cervello, e l’esposoma, ossia il rapporto tra salute ed esposizione ambientale. Si tratta di tre aspetti che condizionano la nostra salute, ma che si differenziano per età e per sesso. Una prova che la medicina di genere ha un senso ben al di là del mero approccio scientifico”.
Maria Concetta Balistreri, segretaria generale dello Spi Cgil Sicilia, ha ricordato che “sin dalla Conferenza nazionale di Pechino del ’95 si segnalava come le differenze tra uomini e donne dovevano essere superate per ottenere un migliore trattamento nella cura della persona. I sindacati dei pensionati in questi anni sono riusciti a ottenere i ‘tavoli della salute’; quali migliori occasioni per proporre un rafforzamento della medicina in termini di diagnosi e cura proprio tenendo in conto la diversità? E perché non pensare che dalla terza età in poi non si possa pensare di avere un geriatra obbligatorio, anche in ragione dell’essere uomo o donna?”.
Per Salvatore Cacciola, dirigente responsabile Educazione e Promozione della salute ASP, bisognerebbe osservare un approccio di genere nelle indagini guardando soprattutto alla pluridimensionalità, puntando anche all’ascolto dei vissuti del paziente “rimettendo al centro la persona, che ha una propria specificità e che va messo in dialogo con i saperi del personale sanitario”. – conclude Cacciola – “Solo nel 2019 è stato firmato un decreto con cui viene adottato un Piano per l’applicazione a la diffusione della Medicina di genere. Sarebbe interessante capire come le aziende sanitarie siciliane stiano investendo nel proprio operato”.
Giuseppina Rotella, segretaria confederale Cgil Catania, ha segnalato che “attualmente le donne rappresentano il 58% della popolazione di ultra 65 anni e il 70% degli ultra 85 anni l’aspettativa di vita alla nascita dell’uomo è 79,9 anni mentre quella della donna è 84,6 (dati ISTAT del 2014). L’aspettativa di vita in Italia al 2050 indica che queste differenze, seppure lievemente attenuate, si manterranno anche nei prossimi anni. Secondo, sempre i dati ISTAT 8,3% delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute contro il 5,3% degli uomini. Anche la disabilità risulta più diffusa tra le donne ( 6,1% contro il 3,3% degli uomini), le donne, quindi, vivono di più ma male. L’accesso ai servizi sanitari non è dovuto solo al loro ruolo di caregiver ma, anche, al fatto che si ammalano di più. Molte sono le teorie sui perché di questa differenza che spaziano dalla genetica alla cultura”.
Per Maria Grazia Mazzone, direttore business Portfolio Development Sifi: “Sempre di più sentiremo parlare di medicina personalizzata di cui la medicina di genere è parte. In Sifi ci occupiamo di ricerca oftalmica dal 1935 eppure non sempre il territorio guarda alle ricerche con attenzione. Ben il 22% della popolazione soffre, ad esempio, della sindrome dell’occhio secco e le donne hanno un impatto maggiore quasi del doppio rispetto agli uomini”.
Giovanni Romeo, responsabile Dipartimento Chimico farmaceutico Filctem Cgil di Catania, ha segnalato che anche il livello di mantenimento degli apparati di ricerca condiziona la salute quotidiana, a seconda che sia corretto o meno: “Ad esempio non si è voluto permettere alla Sicilia orientale di diventare un polo di ricerca intessendo relazioni tra ricerca pubblica e privata. In questa maniera le multinazionali presenti a Catania si sono ridotte a meri laboratori mentre ci sarebbe stato utile avere un maggiore peso proprio in questa fase pandemica”.
Elvira Morana, responsabile Politiche di genere della Cgil Sicilia, segnala che “sulla medicina delle donne c’è stata e c’è ancora una grande disattenzione: è un gap che va superato. Se si arriva all’obiettivo dell’appropriatezza delle cure ne beneficerà tutto il sistema. Abbiamo chiesto all’assessore regionale alla Salute una riscrittura della medicina del Territorio visto che il Covid ci ha consegnato tutte le lacune che sottostavano. Bisogna ripartire dalla medicina che parte dall’ambio sociale, ma in un contesto di cambio di prospettiva e culturale”.
Nicoletta Gatto, presidente Auser Catania, ricorda che le donne siciliane “vivono di più ma in condizioni più precarie” e segnala che in questa fase pandemica “la campagna di vaccinazione ha messo in evidenza come non sia stata avviata una reale presa in carico dei soggetti. Come Auser lo abbiamo fatto; abbiamo accompagnato gli anziani sin dentro i centri vaccinali, soprattutto donne sole e anziane, quelle che non hanno la possibilità di pagarsi un taxi. Ciò è avvenuto senza coordinamento delle istituzioni, e in regime di volontariato. La verità è che oggi la medicina è solo ospedalocentrica, soprattutto nella nostra Regione, e non c’è la presa in carico del soggetto in quanto persona, come invece vorrebbe la medicina di genere”.
Per Angela Battista, responsabile dipartimento Politiche di genere Cgil Catania, “medicina di genere significa anche rivendicare una sanità che non si limita a curare le malattie quando si manifestano e in maniera neutra e quindi inappropriata, ma che ragiona e opera in termini di educazione, di prevenzione, di attenzione a tutti i determinanti di salute. Calibrare l’offerta terapeutica sulle differenze di genere significa avere un sistema sanitario più efficace e permette di raggiungere risultati migliori in termini di prevenzione, di cura e di appropriatezza. Se davvero dobbiamo andare oltre l’enunciazione dei principi, abbiamo bisogno di ragionare di salute, come diritto di tutte le persone e non solo di medicina intesa come cura”.
Daniela Cappelli, segretaria dello Spi Cgil nazionale, ha concluso i lavori spiegando che “bisogna prendere atto delle differenze che oggettivamente esistono tra uomini e donne. Quali sono le nostre opportunità e i nostri limiti? La contrattazione a oggi è stata neutra. Di medicina di genere se ne parla molto, ma bisognerebbe passare dalla teoria ai fatti“.