CATANIA – È iniziata oggi la “lotta sul campo” dei ristoratori contro le continue chiusure delle loro attività e al Duomo di Catania un gesto eclatante ha attirato l’attenzione di moltissimi passanti.
A due passi dalla Cattedrale, tavoli e sedie di un ristorante sono stati apparecchiati come normalmente sarebbe capitato se tra zone rosse e arancioni l’attività non avesse dovuto chiudere, ma a “gridare forte” erano dei palloncini neri. Un simbolo di lutto, un nero spento e fermo che – legato alle sedie – prende il posto del capo dei clienti.
A guidare la protesta contro le chiusure è Piera Giuffrida, che già in un primo momento era intervenuta ai microfoni di NewSicilia per spiegare la propria situazione e annunciare quel che sarebbe successo tra oggi e il prossimo 9 aprile: “Mangeremo in silenzio ai nostri tavoli come segno di protesta, ad ogni sedia sarà legato un palloncino nero in simbolo di lutto”, questa la promessa.
Poco prima di iniziare a mangiare, Piera e le altre ragazze con cui condivide l’amore per la cucina hanno raccontato nuovi dettagli della loro storia che vanno oltre i mancati ristori, le chiusure obbligate, vanno ben oltre il “diritto al lavoro” di cui sono state negate: “Noi siamo una realtà nata nel 2018 e proprio ora avremmo dovuto spiccare il volo: siamo stati nominati eccellenza italiana 2020 e 2021, migliori sushi a Catania, siamo entrati nel 10% dei ristoranti migliori al mondo, abbiamo vinto svariati premi e partecipato a due programmi tv (uno di questi a livello nazionale), personalmente io sono stata inserita in un libro suo migliori mille chef del mondo e nonostante questo siamo chiusi. Dovremmo fare scintille e invece siamo in una situazione catastrofica, siamo in ginocchio. Il sistema al momento sta favorendo il delivery in modo da avere tutto sotto controllo, incentivando le multinazionali e uccidendo la piccola partita IVA”.
Di fronte al locale le protagoniste della giornata: Stefania, Rosi, Noemi, Fabiana, Mary, Simona, Anna e Piera hanno sistemato tutto il locale “a festa”, ma da festeggiare non c’è proprio niente: i ristori non arrivano e quando arrivano non bastano a pagare l’affitto, l’asporto non è praticabile all’interno del ristorante gourmet catanese, ragazzi e ragazze ogni giorno passeggiano per la città senza potersi accomodare e la paura di perdere tutto quello che si possedeva diventa sempre più grande.
“Il palloncino nero è segno di lutto, fa capire che i nostri clienti non ci sono e senza di loro noi non siamo nulla. Il cliente è un sorriso, è un’emozione trasmessa attraverso un piatto. Siamo demoralizzati, sconfitti, abbandonati, ci sentiamo presi in giro perché non ci meritiamo questo, siamo onesti, paghiamo tasse e contributi e lavoriamo anche 18 ore al giorno. Siamo un gruppo affiatato che lotta per un obiettivo comune e da zero siamo diventati una realtà a Catania, una garanzia. Io non rappresento solo il mio locale ma faccio anche parte dei ristoratori siciliani indipendenti, lottiamo ogni giorno per fare capire che noi apriremo al pubblico, vogliamo che i nostri commensali possano sedersi e mangiare in pace perché il Coronavirus non è nei ristoranti: il Coronavirus è nei bus, nelle metro, nei Centri commerciali, in quei posti chiusi”, spiega.
Continua: “Qui c’è ricircolo d’aria, si rispettano le distanze, si può indossare la mascherina, mentre con il delivery e l’asporto è più probabile che le persone si siedano in piazze e strade a consumare il cibo, quello è davvero pericoloso e fonte di contagio. Dentro un ristorante e soprattutto in un ristorante è facile gestire le norme anticovid. Faremmo di tutto, metteremmo il plexiglass, l’igienizzante, rispetteremmo il distanziamento, il numero di posti e tavoli adatto, non si entrerebbe senza mascherina, si segnerebbe la temperatura, perché non basta?”.
Si fanno le 12 e il momento della protesta inizia: cala il silenzio, le ragazze iniziano a mangiare sedute ai tavoli e in molti le guardano.
Questi bocconi hanno un sapore amaro, ma qualcosa dona loro gioia. Sono ormai tantissimi i cittadini che le supportano, chiunque veda la scena si ferma a fotografarla e a diffonderla, le proteste non sono più viste come semplici “capricci”, tutti hanno capito quanto grave sia la situazione e questo suscita nelle ragazze un immenso orgoglio.
Interviene anche una ristoratrice del luogo: “Io sono Sandra e ho un bar in prossimità di piazza Duomo. Siamo stanchi di subire continue chiusure e restrizioni mentre molte altre attività rimangono aperte. Se siamo chiusi da tutto questo tempo e il virus circola comunque, magari è perché non siamo noi gli untori! Vogliamo lavorare, servire i nostri clienti nel rispetto di tutte le regole, staremo attenti a tutto, ma vogliamo lavorare”.
“Ringrazio tutti perché finalmente abbiamo smesso con l’individualismo e abbiamo capito che tutti dobbiamo lottare per la causa. Questa causa non riguarda solo i ristoranti o solo i teatri, ma ognuno di noi. Se io non posso comprare la verdura, il fruttivendolo non potrà guadagnare e spendere soldi che a loro volta non andranno neanche al ferramenta o al negozietto sotto casa. Siamo al collasso, siamo tanti e per fortuna da Nord a Sud stiamo combattendo, ma non possiamo andare avanti. Mi vergogno di essere italiana”, conclude Piera.