Una sola storia. Quattro solitudini

Una sola storia. Quattro solitudini

CATANIA – Cos’è un’amante se non una donna o un uomo arrivati in ritardo nella vita dell’altro?

Ma i “ritardi” non sono roba da poco. I ritardi cambiano la vita. Quella propria e quella degli altri determinando i perfetti meccanismi del caos e delle conseguenti meccaniche della solitudine.

Un treno che ritarda fa saltare tutte le coincidenze. Una donna che ritarda il suo ciclo mestruale annuncia una vita. Un figlio che ritarda al rientro alimenta l’angoscia. Ed è proprio il ritardo dell’incontro fra un uomo sposato, tramite un matrimonio “combinato” fra famiglie come da antiche usanze in una Sicilia degli anni ’50, e la “tabaccaia” del paese, a determinare quattro solitudini diverse.

Solitudini raccontate da quattro prospettive diverse: la solitudine di una moglie che si ritrova ogni notte a letto l’odore dell’amante del marito, tanto da chiedersi chi delle due avrebbe più diritto a definirsi la moglie e chi l’amante. La solitudine del figlio che avrebbe sperato di avere una famiglia vera, fatta di calore e senso di unità e che invece si ritrova sbattuto in collegio circondato da cose inutili e soprattutto privo di un padre che non gli è stato mai padre e che non ha mai perdonato per come ha trattato la madre, infrangendo il sogno di una famiglia “rifugio” e protettiva dalle intemperie della vita. Stesso errore che peraltro ripeterà come il padre, con l’aggravante di essersi sposato liberamente con la donna sbagliata, senza l’imposizione esterna di “combinazioni” fra famiglie.

La solitudine dell’amante “tabaccaia” che si ritrova ad amare un uomo in maniera clandestina, celando sentimenti e passioni, rinunciando a passeggiate all’aria aperta, cene romantiche e soprattutto privata di poter dare slancio al cuore e raccontare l’ebbrezza rivitalizzante e la gioia incontenibile che esplodono nell’anima quando si scatena l’intesa e si vive una passione.

Addirittura saprà della morte dell’amato soltanto attraverso un anonimo “si dice…” fra distratte chiacchiere di clienti all’interno del negozio di tabacchi. Infine, la solitudine di lui. Di colui il quale ha determinato tutte le altre solitudini con le sue scelte. Una solitudine “madre” delle altre, ma a sua volta “figlia” di insoddisfazione, incompletezza e della ricerca di un senso di vita che non lo appaga. Una vita che non sente sua e dalla quale vuole evadere. 

E che crede di potere eludere dagli occhi “guardiani” della gente vivendo la sua “storia” e facendola vivere, loro malgrado, agli altri. Ma è un tentativo vano. La gente sa. Voce di popolo voce di Dio. E lui sa che gli altri sanno. E questo significherà per lui angoscia e riflessione. Smarrimento e disperazione. Ancora insoddisfazione per avere sprecato il suo tempo che non tornerà più. Ancora solitudine.

Finché un barlume di luce lo illuminerà. Ma sarà troppo tardi. Il “ritardo” ancora una volta ha fatto il suo gioco. Il tempo fa sempre il mestiere suo e che lo si voglia o no, lui si che arriva sempre puntuale.

Regia magistrale manovrata dalla mano sapiente di Tatiana Alescio. Perfetta l’interpretazione dei ruoli delle tre bravissime protagoniste: Giuliana Accolla (moglie tradita ma bilanciata da una grande dignità espressa con alta maestria), Ersilia Saverino (tabaccaia resa in maniera delicata sul sottilissimo filo di demarcazione fra il “peccato” di essere amante ed i suoi diritti mancati), Valentina Ferrante (nel ruolo maschile del figlio deluso, interpretato con tanta straordinaria naturalezza da ricordare la “non-recitazione” tipica dei grandi maestri come Al Pacino). Suadente e convincente la voce fuori campo di Mariano Rigillo.

Ottimi gli allestimenti, la direzione di scena di Antonio Pagani ed i costumi di Mary Accolla. Emozionanti gli oltre cinque minuti di applausi finali.

“Una sola storia” ma che fa molta storia. Ed è una storia da andare a vedere, immancabilmente. Fino al 19 aprile p.v. lo spettacolo andrà in scena al Teatro del Canovaccio a Catania.

Sandro Vergato