La richiesta di un assegno di mantenimento per il figlio, introdotta in fase conclusiva di un giudizio di gravame in materia di separazione coniugale, quando non è più possibile un contraddittorio con la controparte, è inammissibile.
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con ordinanza n. 19020 del 2020, con la quale è stato rigettato il ricorso di un uomo che ha domandato all’ex moglie, solo nelle note conclusive del giudizio di appello, un contributo di mantenimento per il figlio.
Secondo gli Ermellini ciò impedisce qualsivoglia interlocuzione con la controparte sul punto e la domanda pertanto non può essere accolta.
Ed infatti, sebbene nel giudizio di separazione e di divorzio sia sempre possibile chiedere, in ogni momento, sulla base di nuove e sopravvenute circostanze, la modifica delle statuizioni consequenziali alla separazione o al divorzio, ciò deve sempre avvenire nel rispetto del principio del contraddittorio.
La vicenda
In primo grado il Tribunale di Modica aveva modificato parzialmente il decreto di omologa della separazione consensuale tra due coniugi.
Il Giudice, tra le altre cose, aveva confermato l’obbligo del marito di versare un assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne non autosufficiente convivente con la madre e ne aveva incrementato la misura a 450 euro mensili.
Il provvedimento veniva reclamato avanti la Corte d’Appello di Catania dall’uomo che lamentava come le esigenze del figlio non fossero mutate: pertanto, l’assegno di mantenimento in suo favore non andava modificato, anche perché al reclamante era nata un’altra figlia da una nuova relazione.
Tuttavia, nel corso del giudizio di gravame il figlio si trasferiva presso il papà, che pertanto chiedeva – nelle note conclusive del giudizio – che fosse la di lui moglie a versargli il contributo di mantenimento.
La Corte d’appello etnea, pur non riconoscendo alcun obbligo del padre di continuare a versare l’assegno di mantenimento per il figlio dalla data di trasferimento presso di sé, ometteva di pronunciarsi sulla domanda di un assegno di mantenimento per il figlio a carico della donna.
Immediato il ricorso in Cassazione dell’uomo che lamentava il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione alla domanda proposta dall’appellante nelle note conclusive del giudizio d’appello.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte, la censura è infondata.
Ricordando il principio “rebus sic stantibus”, gli Ermellini ribadiscono che nei giudizi aventi ad oggetto le statuizioni consequenziali alla separazione personale ed al divorzio, possono essere proposte domande in corso di causa ove siano giustificate da sopravvenienze fattuali, ma senza che possa venir meno il principio del contraddittorio.
Nella specie il ricorrente aveva chiesto un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne soltanto nelle note conclusive del giudizio d’appello, così da escludere ogni possibilità d’interlocuzione alla controparte.
Venendo meno il contraddittorio sul punto, non può essere accolta una domanda di modifica delle statuizioni iniziali sulla separazione tra i coniugi.
La Suprema Corte all’uopo richiama un suo orientamento consolidato, per cui, ove la domanda su cui si concentra il vizio di omessa pronuncia sia da ritenere inammissibile od infondata (ed è questo il caso), la Cassazione non deve formalisticamente rilevare l’omissione, ma deve evidenziare la correttezza, come nella specie, del provvedimento impugnato.