CORLEONE – Stava passeggiando a tarda sera per la strada principale di Ficuzza, frazione di Corleone. Giuseppe Russo, tenente colonnello dei carabinieri, non fece in tempo ad accendersi l’ultima sigaretta. I killer di Cosa nostra, giunti a bordo di una Fiat 128 verde rubata, lo freddarono in piazza con le loro calibro 38. E lo finirono con un colpo di fucile sparato in testa. L’arma che in quegli stessi frangenti era servita per uccidere l’amico che passeggiava in sua compagnia, il professore Filippo Costa.
Erano le 22 del 20 agosto 1977.
Giuseppe Russo, uomo di fiducia di Carlo Alberto Dalla Chiesa
Quello di Giuseppe Russo, comandante 49enne del Nucleo Investigativo di Palermo, fu uno dei primi omicidi eccellenti di mafia. Scomposto e plateale, con un preciso motivo. Lo mise nero su bianco un giornalista che meno di due anni dopo sarebbe morto in circostanze simili, per mano dei sicari di Cosa nostra, Mario Francese: “La mafia voleva un’esecuzione spettacolare ed esemplare“.
Russo era un abile investigatore, uno degli uomini di cui più si fidava Carlo Alberto Dalla Chiesa (all’epoca dell’omicidio colonello e comandante della Legione carabinieri di Palermo). Di Russo Dalla Chiesa disse: “Aveva tutti e cinque i sensi sviluppati, ma la mafia l’ha ammazzato“.
Dal caso Mattei alle indagini su Cosa nostra
Uomo di punta dell’Arma, stava indagando sul caso Enrico Mattei, ancora oggi uno dei più impenetrabili della storia italiana. Le inchieste difficili, del resto, non lo spaventavano. A lui erano state affidate le indagini sulla strage di Alcamo Marina, avvenuta il 27 gennaio 1976, quando ignoti armati di fiamma ossidrica riuscirono a forzare la porta blindata della stazione dei carabinieri e a crivellare di colpi nel sonno due militari: morirono il 19enne Carmine Apuzzo e l’appuntato Salvatore Falcetta, ai quali, esattamente 40 anni dopo l’omicidio, è stato dedicato il lungomare della località balneare del Trapanese. Un assassinio rimasto senza colpevoli.
Per quello di Russo e Costa, invece, venne trovato velocemente, dopo indagini lacunose, un gruppo di pastori su cui far ricadere ogni colpa: Rosario Cascio fu condannato in qualità di mandante; Salvatore Bonello, Rosario Mulè, e Casimiro Russo vennero riconosciuti come esecutori materiali. Nel 1997, però, attraverso le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, furono prosciolti. E il duplice omicidio venne riconosciuto per quello che era in realtà: la vendetta di Cosa nostra per eliminare un nemico in divisa. I veri mandanti, infatti, erano Totò Riina e Bernardo Provenzano. A premere il grilletto furono Leoluca Bagarella, Pino Greco, Giovanni Brusca e Vincenzo Puccio.
Giuseppe Russo aveva attirato su di sé le ire dei corleonesi nel modo più semplice: “mettendo il naso” negli affari dei padrini. Aveva capito, infatti, che per colpirli bisognava indagare sui loro interessi economici, in particolare su finanziamenti pubblici e grandi appalti. Due campi nei quali si stavano saldando le relazioni tra mafiosi, politici e imprenditori.
L’assassinio del professore Filippo Costa
Per non farsi ostacolare nelle loro mire espansionistiche e imprenditoriali, i corleonesi decisero, con un modus operandi diventato purtroppo una triste consuetudine, di eliminare il problema alla radice.
A restare coinvolto, quella tarda sera d’estate, fu anche il professore Filippo Costa, di 57 anni, la cui unica colpa era stata quella di camminare a fianco dell’amico carabiniere: venne ucciso affinché non ci fossero testimoni dell’accaduto.
Giuseppe Russo, medaglia d’oro al valor civile alla memoria
Per onorare la sua morte, il tenente colonnello Giuseppe Russo è stato decorato con la medaglia d’oro al valor civile alla memoria. Questa la motivazione: “Comandante di Nucleo investigativo operante in ambiente ad alto rischio e caratterizzato da tradizionale omertà, si impegnava con coraggio ed elevata capacità professionale in prolungate e difficili indagini relative ai più eclatanti episodi di criminalità mafiosa verificatisi tra gli anni ’60 e ’70 nella Sicilia Occidentale. Proditoriamente fatto segno a colpi d’arma da fuoco in un vile agguato, immolava la sua esistenza ai nobili ideali di giustizia e di difesa delle istituzioni democratiche“.