QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.
iGeneration o ancora Generazione Z, così viene definita quell’ ampia fascia di giovani nati dal 1997 al 2012 e comunemente associati alla maestria nell’utilizzo delle nuove tecnologie e alla significativa perdita di capacità di socializzazione.
Ogni epoca per quanto tramontata possa al giorno d’oggi sembrare, si è ritrovata in diverso modo ad affrontare il cosiddetto gap generation: quel profondo distacco in termini di idee o valori solitamente avvertito da componenti della società più giovani verso le antecedenti generazioni.
A tal proposito mi chiedo se si possa considerare corretta quella naturale tendenza, soprattutto esercitata da un genitore verso il proprio figlio, di porre a paragone problematiche analoghe ai periodi dell’adolescenza dell’uno e dell’altro,
ma facenti parte di scenari temporalmente poco affini e con caratteristiche ben distinte.
Il body shaming è una di quelle. Sebbene il disprezzo nei confronti di chi è lungi dall’essere conforme al comune stereotipo di ‘bellezza’ sia sempre esistito, con la venuta dei social media e la creazione di nuove piattaforme di comunicazione, il fenomeno si è indubbiamente aggravato.
L’esposizione mediatica pare essere quasi indispensabile per ottenere un buon posizionamento sociale.
Nessuna esposizione? Saranno in pochi a conoscerti e ‘tappezzare’ di like le tue foto.
Esporsi? Accetta la possibile presenza di haters i cui pessimi commenti riguarderanno i chili di troppo sui tuoi fianchi o il numero di foruncoli concentrati sulla tua fronte.
Piuttosto recente è il caso ‘Giovanna Botteri’, giornalista Rai corrispondente da Pechino nonché bersaglio di critiche e derisioni da parte d’un servizio del tg satirico Striscia la notizia.
La Botteri, essendo stata chiamata in causa per via d’una presunta mancata igiene e d’un look poco adeguato ad una nota giornalista, ha fin da subito inquadrato la questione definendo i giudizi sfavorevoli indirizzati ingiustamente nei suoi confronti (body shaming) come l’esaltazione di ‘modelli stupidi e anacronistici’ di cui l’umanità non deve permetterne l’incoraggiamento.
Crescere in un secolo in cui una buona acconciatura ed un abile utilizzo del dress-code sembrano quasi oscurare intelligenza e professionalità, non soltanto distoglie l’attenzione dal voler migliorarsi più umanamente invece che esteticamente, ma rende chiaro quanto soddisfare certe etichette non faccia altro che accrescere consenso e popolarità via social.
Come evadere allora da una realtà mediatica le cui condivisioni, derisioni,dissensi riecheggiando perpetuamente nelle orecchie di una gioventù forse troppo debole e impreparata, fanno sì che la stessa diventi la vittima indiscussa del suo periodo storico? Educandoci al rispetto umano non solo ricordando quanto fosse più facile e forse anche più bello per i nostri papà e mamme in passato, ma distinguendo anche le ‘buone azioni digitali’ da quelle che ci rendono cyberbulli.
Chiara D’Amico 5C – I.I.S.S. “Ettore Majorana” – Scordia (CT)