Dalla Resistenza al Servizio Sanitario Nazionale: Tina Anselmi, la staffetta partigiana prima donna ministro in Italia

Dalla Resistenza al Servizio Sanitario Nazionale: Tina Anselmi, la staffetta partigiana prima donna ministro in Italia

Coraggio, integrità e passione politica. Sono questi gli elementi cardine della vita di Tina Anselmi, ex staffetta partigiana che ha scritto la storia della Repubblica italiana diventando la prima donna ministro e legando il suo nome alle lotte per l’uguaglianza femminile e per i diritti di tutti i cittadini in ambito sanitario.

Una storia esemplare di impegno politico che prende le mosse da un episodio drammatico che ne ha segnato la vita. Nata a Castelfranco Veneto il 25 marzo 1927, Tina Anselmi frequenta l’istituto magistrale a Bassano del Grappa quando il 26 settembre del 1944 i nazifascisti costringono lei e i suoi compagni ad assistere all’impiccagione di 31 giovani prigionieri accusati di rappresaglia. Ha 17 anni, l’orrore di quell’evento la convince che bisogna fermare la guerra, che occorre fare qualcosa perché quelle atrocità finiscano.

Sceglie il nome di battaglia “Gabriella”, in onore dell’arcangelo Gabriele, è diventa staffetta della Brigata Cesare Battisti, per passare poi al Comando regionale veneto del Corpo volontari della libertà. Ogni giorno percorre in sella alla propria bicicletta oltre 100 chilometri per aiutare i compagni. Ogni giorno rischia la vita, consapevole che se venisse catturata spererebbe di essere uccisa subito, piuttosto che subire le torture dei nazifascisti.

È affrontando quei pericoli che Tina Anselmi forgia il suo carattere (segnato da una profonda solidità morale), e matura la propria coscienza politica. Nel dicembre del 1944, infatti, si iscrive alla Democrazia Cristiana.

Forte e schietta, Tina Anselmi è destinata a rompere cliché. Finita la guerra si diploma e successivamente si laurea in Lettere all’Università Cattolica di Milano. Diventa insegnante nelle scuole elementari e si dedica alle lotte sindacali (prima nella Cgil, poi nella Cisl). Dal 1945 al 1948 è dirigente del Sindacato Tessili e si impegna per i diritti delle lavoratrici nelle filande. Un periodo che ricorderà così: “Facevo le battaglie che ancora loro non erano in grado di fare. Guardando le loro mani pensavo a quanto erano gravi le ingiustizie che avevamo davanti. Ci sono voluti anni per cambiare quel mondo”.

Democrazia, giustizia sociale e moralità della politica. Per Tina Anselmi non sono solo parole da spendere per darsi un tono, non ne ha bisogno. Per lei rappresentano ciò per cui vale la pena battersi, sempre in prima persona, dimostrando un grande coinvolgimento personale nella vita politica del Paese.

Da donna la sua forza è stata quella di non accettare la subalternità in un ambiente prettamente maschile come era quello politico: “Le donne devono imparare a esserci, esserci ovunque ci siano problemi da affrontare, perché credo che la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne a farla”. Il suo impegno, del resto, nasceva dalla ferma convinzione che non ci fosse “forma di carità più alta della politica, dell’impegno per il Paese, per la gente. […] La politica può cambiare in meglio la vita dei cittadini”. E senza dubbio, con le leggi da lei promosse e firmate, ha inciso fortemente su quelle degli italiani.



Il 29 luglio 1976 Giulio Andreotti la nomina ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale. Tina Anselmi diventa così la prima donna alla guida di un dicastero della storia italiana. È lei a firmare nel 1977 la legge 903 sulla “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”.

Nel 1978, da ministro della Sanità, pur avendo votato da deputata e da cattolica contro il progetto di legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, ne firma il testo, dimostrando cosa si intenda per “laicità dello Stato”. Lo stesso anno firma la legge sugli “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, la legge Basaglia. Ed è sempre nel 1978, che affronta la riforma della Sanità.

Grazie alla legge 833, infatti, il 23 dicembre 1978 nasce il Servizio Sanitario Nazionale. Una legge necessaria per applicare, finalmente e praticamente, l’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Una riforma che, nonostante i fondamentali principi che promuove (la globalità delle prestazioni, l’universalità dei destinatari e l’uguaglianza del trattamento, necessarie a garantire la tutela della dignità e della libertà della persona), è osteggiata da parte degli enti sanitari privati (e da frange politiche) perché intacca interessi di potere e denaro. Nulla di tutto questo la preoccupa, di nemici del resto è abituata ad averne tanti, anche tra i colleghi che la soprannominano beffardamente “Tina vagante”.

A “scontrarsi” con la sua integrità furono anche Licio Gelli e gli illustri associati alla loggia massonica deviata P2. Il 10 novembre 1981, infatti, in virtù della propria trasparenza e integrità morale, Anselmi viene incaricata dalla presidente della Camera, Nilde Iotti, di dirigere i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta chiamata a far luce su quell’oscura rete che pretendeva di decidere, in una sorta di concorrenzialità al Parlamento, la vita del Paese. Durante l’incarico viene pedinata, minacciata e subisce gravi intimidazioni (tra cui il ritrovamento di 7 chili di tritolo davanti alla sua abitazione). Nulla la ferma, ma anni dopo sarà costretta a commentare che, nonostante i risultati presentati dalla Commissione e l’approvazione della legge Anselmi contro le associazioni segrete, “molti uomini della P2 passarono indenni”.

Donna di umili origini ma forte di spirito e attenta alle sottigliezze della politica, Tina Anselmi non ha mai dato nulla per scontato, soprattutto le vittorie e i risultati ottenuti, a proposito dei quali ammoniva: “Le conquiste non sono mai definitive”. Come non lo è la libertà, per la quale lottò da staffetta partigiana: “La libertà va riconquistata ogni giorno con le proprie scelte. È questa la principale tra le regole della democrazia, che si appella a tutti e che non distingue i cittadini per ricchezza, appartenenza sociale, cultura”.

Ricordare (non solo il 25 aprile) è ciò che Anselmi chiedeva; non perdere la memoria di quello che è stato, delle battaglie affrontate, perché la storia “ritorna” e non bisogna farsi trovare impreparati e distratti: “La memoria è l’arma pacifica che ci permette di non ripetere gli errori che ci hanno portato al fascismo“.

Fonte foto: Facebook