I “senza fissa dimora” al tempo di Covid-19: quando #iorestoacasa significa #iorestoinstrada

I “senza fissa dimora” al tempo di Covid-19: quando #iorestoacasa significa #iorestoinstrada

CATANIA – L’emergenza sanitaria epidemiologica, derivata dal propagarsi del virus Covid-19, che sta caratterizzando queste ultime settimane, costringendoci a vivere giorni interminabili di quarantena, “rinchiusi” tra le mura delle nostre residenze, ci ha investiti totalmente, catapultandoci in un modus vivendi anomalo, al quale non eravamo certo abituati, e le cui conseguenze – lavorative, economiche, fisiche e sociali – hanno causato e causeranno una situazione di grave crisi sia nell’ambito delle famiglie, che in quello della comunità.

Molte certezze sono venute meno: quella del tempo, del lavoro, della salute, del rapporto con il prossimo. Le abitudini, nella maggioranza delle persone, sono bruscamente mutate: relazioni interrotte (per chi può intrattenerne), lavoro agile (per chi ne possiede uno), quarantena tra le mura di casa (per chi ha un tetto).

Si vive un tempo di attesa e di reclusione, che, purtroppo e inevitabilmente, evidenzia in modo ancor più palese di prima, le precarietà del nostro tessuto sociale, dove i più fragili, spesso, non hanno una rete di protezione che possa accompagnarli e tutelarli.

Dinnanzi a ciò che stava succedendo, ancora una volta, Ebbene, Fondazione Nazionale di Prossimità, (che si occupa di interventi rivolti alle Comunità locali con attività di servizio e di solidarietà sociale) – afferma il presidente, Edoardo Barbarossa -, ha scelto di restare in campo sia in Sicilia che in altre regioni. La fotografia di una società divisa tra chi è ‘protetto‘ e chi è ‘senza difesa alcuna‘ è stato proprio l’hashtag #iorestoacasa“.

Ho avuto un momento di sgomento quando l’ho visto ripetersi sulle pagine dei social, alla televisione…ovunque – ci confida Barbarossa –. E non perché non mi rendessi conto che ‘lo stare a casa’ fosse l’unica soluzione possibile, ma perché, oltre al personale sanitario, c’erano almeno altre due categorie che non potevano ‘stare a casa’. I primi erano gli operatori sociali, in campo, quasi sempre senza dispositivi di sicurezza, a reperire generi alimentari, a consegnare farmaci a domicilio, a sostenere i genitori di bimbi con disabilità privati dell’assistenza, a stare in strada insomma. I secondi, e non per ordine di importanza, erano coloro i quali una casa non la avevano: i ‘senza fissa dimora‘, coloro i quali incontriamo ovunque nelle nostre città, vicino alle stazioni o sotto i porticati, coloro che, di quel virus, sapevano poco o nulla, coloro che non potevano vivere l’isolamento sociale, ma che, da sempre, hanno vissuto la marginalità“.

I Centri di Prossimità di Ebbene hanno accolto la sfida e soprattutto a Catania, dove opera uno dei Centri più strutturati della Fondazione, l’attività è stata intensa.

Nelle parole degli operatori di Prossimità – ci racconta il presidente – non di rado ho avvertito la fatica, forse anche la paura, ma certamente la coscienza, che non era possibile fermarsi. Proprio all’ombra del vulcano attorno al ‘Presidio Leggero‘, si è strutturata una strategia in grado di rispondere alle esigenze di tutela della fascia di popolazione più fragile per definizione, ovvero i senza dimora e\o persone a rischio di disagio abitativo“.

La porta d’ingresso di questo processo di aiuto è stata spesso l’Unità di strada del “Progetto Radici”, uno  sportello di counseling e presa in carico itinerante, rivolto a coloro i quali sono completamente avulsi dai sistemi territoriali di assistenza. Un’equipe formata da un sociologo, un mediatore culturale, un infermiere e un tecnico della riabilitazione psichiatrica, accompagnata spesso da volontari di altre organizzazioni, ha incontrato centinaia di persone per strada. Ai turni notturni si sono affiancati quelli diurni, dove si sono  interfacciati con chi non aveva casa, spiegando i rischi del virus, fornendo loro alimenti e kit per l’igiene, accompagnandoli ai punti predisposti, per una doccia o un cambio e invitandoli negli alloggi di emergenza o transizione.

Mi è rimasta impressa una storia raccontata da Claudia Pasqualino, responsabile del Centro di Prossimità Mosaico di Catania e coordinatore del progetto Radici – dice Edoardo Barbarossa -.  Si parla di Beke, mauriziano, in strada perché dimesso da una RSA dopo essere stato ricoverato per una forma di diabete. Si è ritenuto che non ci fosse più la necessità di mantenerlo in una struttura sanitaria e nessuno si è chiesto dove potesse andare… visto che lui una casa non l’aveva e #iorestoacasa significava #iorestoinstrada. Beke era spaventato ma pian piano la relazione si è instaurata. Aveva bisogno di particolare assistenza anche per la sua insulina… la strada non poteva essere la sua dimora. Adesso è ospitato in uno degli alloggi di transizione che Ebbene gestisce e verrà inserito in un percorso di accompagnamento e inserimento sociale. Non vogliamo che resti lì per troppo tempo: serve che si renda autonomo, che riconquisti la propria vita, che guardi al futuro non solo come una ‘malattia che incombe’, ma come un progetto di cui essere protagonisti“.

Sono realtà vive, quindi, le grandi periferie esistenziali, dove tante migliaia di persone vivono di stenti e in promiscuità, esposti a maggiori rischi per loro e per gli altri, oggi, così come ieri e “come temo, dopo questa ennesima crisi – afferma – sarà ancor più domani. Ci sono tanti operatori e volontari che, nelle città e sulle strade, stanno dando tutto quanto in loro potere per confrontarsi con queste povertà, senza avere le prime pagine e senza avere strumenti e strutture che vengono date a chi deve gestire la ‘patologia‘ del contagio“.

Occorrerebbe – denuncia Barbarossa –, lo dico da tempo, una rete sociale parallela a quella sanitaria, con identico riconoscimento e con identiche risorse, perché la prevenzione è forse più importante della cura. Ma quest’azione incontra un welfare ormai sfilacciato e privo di una governance di sistema, in cui i servizi pubblici si chiudono piuttosto che aprirsi, in cui la domanda, soprattutto nei momenti di emergenza, non ha un ‘pronto soccorso‘ a cui rivolgersi, se non quando l’emergenza diventa malattia e viene scaricata al sistema sanitario“.

Questa epidemia – conclude – dimostra ancora una volta, che il welfare, soprattutto per le azioni di prossimità che deve garantire, è una priorità e un investimento e che va governato con un sistema di regole certe e di diritti esigibili per tutti, a partire da coloro che non hanno alcuna tutela“.

Fonte immagine habitante.it