CATANIA – Ieri, in termini molto semplici e comprensibili a tutti, abbiamo spiegato cos’è e cosa prevede il decreto “Jobs Act”, senza voler tirare in ballo quei paroloni che la politica adora usare con il solo scopo, evidentemente, di far confondere ulteriormente il cittadino.
Oggi, invece, cediamo la parola alla classe imprenditoriale… a coloro che saranno direttamente coinvolti dal decreto e che da ora si stanno già rimboccando le maniche per studiare ogni singolo tassello della nuova legge.
Così, abbiamo chiamato in causa Andrea Tassone, rappresentante de “Il Tavolo per le imprese” di Catania.
“Finalmente, dopo tanti anni, non ci sono più solo i lavoratori al centro del dibattito politico ma anche gli imprenditori. Prevedo, però, che cambierà poco per le realtà aziendali con un numero inferiore ai quindici dipendenti mentre le altre potranno sfruttare i vantaggi che il Jobs Act ha da offrire“.
Un decreto che rischia di essere visto solo come un grande cane che si morde la coda. Infatti, gli sgravi fiscali che le imprese potranno ottenere nei tre anni in cui assumeranno con il nuovo “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, potrebbero causare una continua girandola di licenziamenti, scaduti i 3 anni di contratto, al fine di ottenere nuovi esoneri contributivi, soprattutto ora che sarà possibile licenziare senza motivazioni e con irrisori indennizzi per i lavoratori.
I dipendenti, quindi, vivranno questi possibili tre anni di “paradiso”, con la paura di essere poi rigettati “nell’inferno” della disoccupazione. Tassone al riguardo sterza e tiene a precisare che il problema di oggi riguardi ben altro.
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Ed è appunto il lavoro quello che manca. Se prima una persona era libera di poter firmare un contratto a tempo indeterminato (o a termine) e un contratto a progetto (co.co.pro.), dal primo marzo, con l’abolizione degli ultimi, non sarà più possibile. Un duro colpo per chi, anche con due impieghi, stentava ad arrivare a fine mese. Neanche per le aziende, secondo l’imprenditore catanese, la cancellazione dei contratti a progetto risulta essere vantaggiosa.
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Una manovra che, quindi, rischia solo di alimentare ulteriormente il numero dei lavoratori in nero che, ricordiamo, in Sicilia arriva a ben 285.000 unità, nonostante i controlli siano sempre più serrati e frequenti.
Ma che fine faranno, allora, tutti i dipendenti assunti con il vecchio contratto a progetto?
Il premier Matteo Renzi afferma che verranno inseriti in una “gestione transitoria”, nella speranza che vengano poi assunti seguendo le nuove procedure. Tassone, invece, sostiene che l’unica transizione possibile sia quella verso l’estero. Sentiamo perchè:
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Ma i problemi di questo nuovo decreto, andrebbero anche ricercati all’interno della sua struttura. Pare, infatti, che la decisione di voler mantenere i contratti a termine, crei un grande problema “architettonico” di base.
Nulla, infatti, vieterà ad un’impresa di assumere con il nuovo contratto a tutele crescenti, soltanto dopo la scadenza dei tre anni del contratto a termine. Considerando che in caso di licenziamento nei primi due anni del nuovo contratto l’indennizzo sarà decisamente modesto (una mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 2 ed un massimo di 6) si correrebbe il rischio di rendere precario un nuovo assunto per almeno cinque anni. Sembra quasi che si voglia combattere la precarietà con la precarietà.
Ci sono, allora, dei reali vantaggi per le piccole imprese e per i dipendenti che ne fanno parte?
Non secondo la maggior pare degli imprenditori catanesi e Andrea Tassone, in rappresentanza de “Il Tavolo per le imprese” incalza, sottolineando un grande controsenso nel decreto stesso.
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Tirando, dunque, le somme, la sensazione è che si verrà a creare solo tanta confusione all’interno di un mondo, quello del lavoro, che già da tempo fatica enormemente a decollare.