Domenica 18 gennaio ricorre la 101esima Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato

Domenica 18 gennaio ricorre la 101esima Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato

“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 35-36).

La ricorrenza di domenica 18 gennaio non può non indurre a riflettere sulla dichiarata condizione di emergenza del fenomeno migratorio, presentato sempre più in termini allarmistici. A ben vedere, dovrebbe osservarsi come l’immigrazione, altro non è che una circostanza fattuale sempre esistita, ma sulla cui cifra quotidianamente si dibatte.

Osserva la Fondazione Migrantes come, dati alla mano, non sussiste alcuna invasione, e che, al primo gennaio, le persone accolte e rimaste nelle diverse strutture di prima e seconda accoglienza sono poco meno di 66.000, poco più di un terzo rispetto alle 170.081 persone riferite dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano.

L’ordinamento giuridico italiano disciplina diversamente la condizione dei cittadini comunitari da quella degli stranieri extracomunitari che si trovano nel territorio nazionale (che al 01 gennaio 2014 erano tre milioni e 874.726).

Se i primi, infatti, sono cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, il cui ingresso nello Stato è regolato dagli accordi Schengen, per gli stranieri extracomunitari, invece, vige un regime giuridico differente, la cui regolamentazione – oggetto di costanti riforme – è contenuta nel Decreto Legislativo n. 286/1998 (c.d. T.U. sull’immigrazione), che dispone una serie di limitazioni all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale.

Uno degli aspetti salienti che negli ultimi decenni ha interessato il Legislatore nazionale è rappresentato dall’esigenza di stabilire una connessione tra il fenomeno migratorio e il reato penale. Tale esigenza è sorta dalla necessità di introdurre una risposta sanzionatoria contro il migrante per il mero fatto di avere violato le regole di permanenza e di ingresso nel territorio italiano.

Tre sono i provvedimenti normativi che hanno confermato questa tendenza. Il d.l. 92/1998 ha introdotto la cosiddetta aggravante di clandestinità, attraverso l’inserimento di un nuovo art.11-bis all’art. 61 c.p. Tale circostanza aggravante è oggi venuta meno per effetto della declaratoria di incostituzionalità avvenuto con la celebre pronuncia n. 249/2010.

Il provvedimento più significativo è rappresentato dalla l. n. 94/2009, che ha introdotto l’art. 10-bis al d.l.gs. n. 286/1998, prevedendo la nuova fattispecie di reato di clandestinità. Infine, l’art. 14 comma 5-ter del T.U. sull’immigrazione disciplinava il reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento del Questore, sanzionando con pena detentiva lo straniero irregolare che, senza giustificato motivo non vi ottemperava.

Per contrastare la tendenza a discriminare il migrante, in materia di immigrazione irregolare è intervenuta l’Unione Europea che con la direttiva 115/2008 (cosiddetta Direttiva rimpatri) ha previsto come modalità principale di esecuzione delle decisioni di rimpatrio, la concessione di un termine da sette a trenta giorni per il rimpatrio volontario dello straniero. Scaduto il suddetto termine, ovvero in presenza di particolari circostanze (quali il rischio di fuga), lo Stato membro – stabilisce la direttiva – dovrà adottare tutte le misure necessarie a consentire l’esecuzione della decisione di espulsione, ivi comprese le misure coercitive che dovranno tuttavia essere proporzionate e rispettose dei diritti fondamentali della persona.

In conformità alle indicazioni europee, il Legislatore nazionale ha recepito la direttiva rimpatri e con il decreto legge n. 89 del 2011 ha previsto il rimpatrio volontario come modalità ordinaria di esecuzione del provvedimento di espulsione, ed ha sostituito con la multa la pena detentiva originariamente prevista per il reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento.

Il fenomeno migratorio ha assunto dimensioni tali che solo attraverso una concreta e sistematica collaborazione capace di coinvolgere tutti gli Stati europei e le Organizzazioni internazionali, può essere regolato e gestito efficacemente nel rispetto della persona.

Il Santo Pontefice, per la giornata mondiale del migrante ha espresso il messaggio che la “Chiesa madre è capace di accogliere tutti“.

Ma è proprio possibile accogliere chiunque nel nostro Paese? Oppure è una visione romantica del Papa?

230 milioni di persone ogni anno lasciano il proprio paese: costruire barriere significa escludere persone e non favorire incontri. La chiesa madre senza frontiere significa che la Chiesa diventa un laboratorio per fare incontrare persone, per fare conoscere gli altri come altro da noi che hanno la nostra stessa dignità, significa costruire una civiltà, e guardare al mondo del futuro. Semmai la domanda da porci è se sia possibile la convivenza tra persone che appartengono a culture e religioni diverse. Forse sì, se consideriamo irrinunciabili alcuni valori, quali la protezione dei bambini e la dignità della donna: valori di partenza rispetto ai quali possiamo anche pensare di convivere con diversi.

Avv. Claudia Cassella e Elena Cassella del Foro di Catania