CATANIA – Ben 27 concorsi truccati, 17 per professore ordinario, 4 per associato e 6 per ricercatore. È lo scandalo dell’Università di Catania, dove anche figure importanti e di spicco hanno utilizzato ritorsioni per favorire l’inserimento di persone nelle varie posizioni.
“Uno squallore” lo ha definito il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. L’università, che dovrebbe rappresentare la meritocrazia, è stata macchiata da un sistema corruttivo molto simile a quello mafioso. Se si era nel giro si andava avanti, se no si era fuori.
Anche altri atenei nazionali sono stati coinvolti nello scandalo e non è escluso che possano esserci stati dei favori tra Università appartenenti a province e regioni diverse. I membri dell’associazione non parlavano al telefono ed effettuavano “bonifiche” preventive degli Uffici Pubblici per evitare controlli e indagini. Come nel caso in cui il neo rettore di Catania, Francesco Basile, ha chiesto al suo predecessore, Giacomo Pignataro, se la stanza fosse stata controllata per verificare la presenza di cimici.
Tutti sono stati sospesi dall’esercizio pubblico per associazione a delinquere, corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione, induzione indebita a dare o promettere utilità e falsità ideologica.
Il sistema è facile da intuire. Venivano stabiliti ordine di chiamata e vincitore del concorso, spesso con dei bandi “cuciti” su misura per favorire il candidato. Così come non mancavano i “pizzini” per rendere noto alla commissione il nome di chi dovesse aggiudicarsi il posto.
Le indagini hanno preso in considerazione quanto accaduto dal luglio del 2015 a oggi. A far scattare dei sospetti un diverbio e alcune denunce reciproche tra l’ex rettore Pignataro e l’allora direttore amministrativo, Lucio Maggio.
Inquietante ed emblematica anche una delle frasi intercettate: “Dobbiamo soggiacere al potere”.
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