CATANIA – Si dice che i bambini, prima di arrivare al mondo, scelgano i propri genitori, nonostante tutto e nonostante tutti. Mettere al mondo un bambino resta, da sempre, una delle gioie più belle al mondo. Un evento naturale che però, dietro, nasconde tante insidie.
Da alcuni giorni, sul web, rimbalza il caso della 26enne di Catania che avrebbe ucciso il proprio bambino, di appena tre mesi, scaraventandolo a terra. Lorenzo, per i traumi riportati, è morto lo scorso 14 novembre. Alcuni giorni dopo, la madre, è stata arrestata per poi essere trasferita in una comunità terapeutica. I motivi del gesto, al momento, restano ancora sconosciuti: la donna, infatti, pare non ricordi quanto accaduto ma, secondo quanto riferito dal padre della presunta omicida, la 26enne sembra soffrisse di problemi psicologici.
Il caso ha suscitato commenti e giudizi e ha diviso, in un certo senso, il mondo online, in due fazioni: tra chi accusa la madre e gli punta il dito contro accusandola, appunto, e giudicandola e chi, invece, resta in disparte e piange il piccolo Lorenzo, vittima, possiamo dirlo, di una depressione post-partum.
La questione ci ha colpiti particolarmente ed è per questo che abbiamo deciso di chiedere maggiori delucidazioni sulla problematica ad una esperta, la dottoressa Valentina La Rosa, psicologa e psicoterapeuta.
Quando una madre mette al mondo un figlio potrebbe ritrovarsi ad affrontare due diversi fattori: la depressione post-partum, appunto, e il baby blues. “Bisogna fare una netta distinzione – spiega la dottoressa La Rosa – il baby blues è tecnicamente una sindrome depressiva transitoria e rientra negli aggiustamenti fisiologici legati alle modificazioni ormonali, alla gravidanza e al parto. Questi fattori possono indurre delle alterazioni dell’umore ma si tratta di una sintomatologia appunto transitoria che rientra nell’arco di un periodo di tempo piuttosto breve, delimitato, e che non costituisce in questo caso una sindrome psicopatologica”.
“Quando parliamo di depressione post partum invece, intendiamo una sindrome vera e propria perché al di là di quelli che sono gli assestamenti ormonali, il ‘problema’ persiste e – continua la psicologa – diciamo che in quel caso la gravidanza e il parto, rappresentano una sorta di evento scatenante che va a toccare un qualcosa che esisteva già, quindi è molto frequente, in queste donne, riscontrare che erano già presenti sintomi depressivi o comunque dei problemi di tipo psicologico già prima della gravidanza, quindi si tratta di un avvenire, di un emergere di un qualcosa che era già diciamo latente e che la gravidanza e il parto – sia a livello fisiologico, a causa di alcune modifiche ormonali importanti, sia poi per il carico simbolico dell’evento – vanno a far manifestare quella che poi diventa una sindrome depressoria vera e propria e quindi siamo già nel campo della psicologia”.
Nel caso, quindi, una donna vada incontro alla depressione post-partum, lì bisogna ricorrere “ad un intervento di tipo specialistico”.
Facciamo un passo indietro e ritorniamo, nello specifico, al caso della 26enne di Catania. Secondo alcuni dettagli emersi dopo la tragedia, pare che la donna all’età di 11 anni abbia subìto un lutto importante nella sua vita perdendo la madre. Questo, secondo quanto spiegatoci dalla dottoressa La Rosa, avrebbe influito nel percorso di vita della 26enne. “La storia della vita di una donna, le carenze emotive e affettive, sono fondamentali, perché è proprio nei primi anni di vita che si va a strutturare quella che sarà poi l’identità del soggetto e sicuramente una trascuratezza da un punto di vista emotivo e affettivo, va a formare delle personalità più fragili, più deboli e che sono più a rischio nello sviluppare problematiche di questo tipo”.
Un altro dettaglio venuto alla luce dalla storia della 26enne è che non aveva un compagno. Il piccolo Lorenzo, infatti, pare avesse ricevuto il cognome della madre. La mancanza del partner risulta essere un altro importante fattore scatenante di depressione post-partum. “Gli è venuto a mancare quello che è il supporto fondamentale del partner in un progetto che deve essere di coppia – spiega la psicologa -. Questi problemi si sono uniti e hanno dato vita ad una miscela esplosiva”.
Negli ultimi tempi, negli stessi reparti di ginecologia dei nosocomi, la figura dello psicologo si sta sempre più diffondendo, quella che, invece, continua a mancare è “la cultura di farsi aiutare da uno specialista”.
Domanda fondamentale e conclusiva della nostra intervista posta alla dottoressa La Rosa, è perché una madre arrivi ad uccidere il proprio bambino. “Il problema è che il bambino non era soggettivato, cioè in parole semplici il piccolo non era considerato come un figlio e quindi come un soggetto autonomo, ma era quasi un oggetto persecutorio”.
“Vorrei che passasse il messaggio che – conclude la psicologa – i consultori, le unità operative e gli aiuti esistono. Bisogna promuovere la cultura dello specialista e farsi aiutare quando se ne sente il bisogno”.
Diventare genitori resta, dunque, uno dei “mestieri” più difficili al mondo che richiede tempo, pazienza e soprattutto amore. Non si nasce genitori ma lo si diventa ed è per questo che, prima di mettere in atto un progetto importante come quello di dar vita ad un piccolo, bisogna essere pronti e consapevoli che la propria vita cambierà per sempre.