Ne è affetto in media un neonato su 10mila ed è una delle malattie rare al centro degli studi in ambito medico a livello mondiale: si tratta della fenilchetonuria, meglio nota con la sigla PKU (dall’inglese Phenylketonuria).
La fenilchetonuria è una malattia metabolica ereditaria dovuta a un gene malato che impedisce l’assimilazione della fenilalanina, aminoacido costituente delle proteine, e la sua corretta trasformazione in tirosina.
Ne consegue una presenza eccessiva dell’aminoacido nel sangue e nelle urine dei soggetti affetti, che, se non iniziano le cure entro i primi mesi di vita, sviluppano problemi irreversibili, destinati a sconvolgere per sempre la loro vita e quella dei loro cari.
La malattia fu scoperta nel 1934, quando il medico norvegese Asbjørn Følling riuscì, grazie un esame alle urine di due fratellini malati, a individuare nella mancata metabolizzazione della fenilalanina la causa della loro disabilità.
Negli anni Cinquanta, il professor Horst Bickel, inglese, elaborò una prima dieta povera in fenilalanina per soggetti affetti da fenilchetonuria. I medici, però, si accorsero che l’inizio della dieta spesso non fermava l’insorgere di gravi ritardi mentali, specialmente in caso di diagnosi tardiva.
Fu il giovane ricercatore americano Robert Guthrie a mettere a punto un test capace di individuare l’anomalia genetica già dopo 72 ore dalla nascita dei neonati, grazie all’analisi di poche gocce di sangue dei piccoli. Il “test di Guthrie”, meglio noto oggi come screening neonatale, si rivelò economico ed efficace e fu introdotto prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo (in Italia, uno dei Paesi con più alto tasso di incidenza della malattia in Europa, è obbligatorio dal 1992).
In Sicilia, i primi programmi di screening furono attuati negli anni Ottanta. Nel 1992 fu promulgata una legge regionale che rendeva il test obbligatorio e furono aperti i primi quattro centri di screening, a Palermo, Caltanissetta, Catania e Messina.
La fenilchetonuria è stata la prima malattia a essere diagnosticata grazie allo screening, ma presto si cominciò a utilizzare il test anche per individuare altre patologie, come l’ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica. Attualmente si sta lavorando su un programma di “screening neonatale esteso”, capace di individuare oltre 40 malattie genetiche ereditarie.
Individuato lo screening come strumento di diagnosi precoce, fu finalmente possibile utilizzare la dietoterapia ideata da Bickel per curare i soggetti affetti da fenilchetonuria prima dell’insorgere dei sintomi.
Lo scopo della dieta è quello di ridurre sensibilmente l’apporto giornaliero di fenilalanina nei pazienti, eliminando gli alimenti a maggiore contenuto proteico, come carne, legumi e latticini, e sostituendoli con cibi aproteici e integratori. I bambini sono obbligati a seguire la dieta fino all’età adolescenziale (per le donne fino alla fine dell’età fertile, per evitare problemi al feto in caso di gravidanza), anche se numerosi gli esperti suggeriscono di mantenere la dieta a vita.
La dietoterapia è ancora oggi l’unica cura efficace alla malattia, anche se sono in corso studi per garantire un’alternativa.
La dieta è spesso molto difficile da accettare. I piccoli sono costretti a mangiare in modo diverso dagli altri, non possono gustare torte di compleanno o dolci durante le feste e devono avere una maestra di sostegno che ne controlli l’alimentazione nei primi anni di scuola (nonostante non abbiano problemi a livello fisico o intellettivo). Tutto ciò li porta a non considerarsi “normali” e, spesso, anche ad attribuire la colpa della loro condizione ai genitori, visti quasi come “mostri cattivi” che nascondono loro il “cibo buono”. Nei casi peggiori, i piccoli pazienti arrivano a chiudersi in se stessi o a essere particolarmente ribelli e irrequieti.
I genitori, invece, soffrono di sensi di colpa, visto che si considerano responsabili della malattia del figlio, nella maggior parte dei casi totalmente sconosciuta prima della diagnosi. Sono costretti ad affrontare crolli psicologici, rifiuti, spiegazioni ad amici e parenti e discriminazioni. Inoltre, sulla madre e il padre dei pazienti grava anche la responsabilità di dover attenersi scrupolosamente alle indicazioni dei medici in merito alla dieta, il che spesso li porta a diventare eccessivamente apprensivi e oppressivi nei confronti del figlio.
Quello della dieta è sicuramente un problema non indifferente, che condiziona la vita di tutta la famiglia, ma come sarebbe la vita di un bambino affetto da fenilchetonuria senza questa cura?
Senza la dietoterapia, il bambino svilupperebbe disabilità fisiche e mentali irreversibili, forme più o meno gravi di autismo e attacchi di nervosismo, con conseguenze orribili e spesso traumatiche. In occasione della giornata internazionale dedicata alla fenilchetonuria, quindi, è importante ribadire la necessità di conoscere la patologia e l’importanza della dietoterapia.
“La chiusura mentale, che denota la non accettazione della malattia, produce il risultato della disinformazione e del non adeguato trattamento” spiega la dottoressa Cettina Meli, Dirigente Medico al Policlinico di Catania, che ha dedicato la vita alla cura delle malattie metaboliche congenite.
Per evitare che ciò accada, è necessario accettare con serenità il problema per permettere ai bambini con fenilchetonuria di avere uno sviluppo quanto più regolare possibile. Ciò oggi è possibile anche grazie ai forum, ai gruppi sui social e alle associazioni Onlus nate per il supporto psicologico di famiglie e pazienti.
In Sicilia le principali sono la “PKU Cometa Sicilia”, la “Baco di Rame”, affiliata al Centro di riferimento regionale per la cura e la malattia delle malattie metaboliche congenite dell’infanzia, cioè il Policlinico di Catania, e il gruppo Facebook “Fenilchetonuria Sicilia”, che permette ai genitori di condividere paure e ansie, ma anche pensieri, idee e momenti di gioia per i loro bambini.
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