In un’America scossa da due recenti suicidi ‘VIP’, quelli dello scrittore-chef Anthony Bourdain e, nella stessa settimana, della stilista Kate Spade, non poteva non destare attenzione uno studio della University of Illinois di Chicago, dedicato proprio alla malattia che ‘si cela dietro il sorriso’.
La ricerca delle cause di questi gesti estremi è l’unica cosa che permette di razionalizzare e contenere lo sgomento che un suicidio provoca.
E questo studio, appena pubblicato su JAMA (Journal of the American Medical Association) punta l’attenzione e il dito su alcuni farmaci, prescritti per le condizioni più disparate, ma in grado di aumentare il rischio di depressione e di suicidio. Da soli e ancora peggio nei cocktail di interazioni, ampiamente incontrollabili, della polypharmacy.
Lo studio, il primo ad aver dimostrato questa relazione pericolosa tra farmaci di comune impiego e rischio suicidario, ha analizzato in maniera retrospettiva le prescrizioni fatte a oltre 26 mila americani adulti tra il 2005 e il 2014, dati raccolti all’interno della National Health and Nutrition Examination Survey.
L’analisi ha portato ad obiettivare una realtà sconcertante: sono oltre 200 i farmaci comunemente prescritti per varie condizioni (dalle pillole anticoncezionali, ad alcuni farmaci antipertensivi o per condizioni cardiologiche, inibitori di pompa protonica, antiacidi, antidolorifici), che nel foglietto illustrativo hanno chiaramente indicato il potenziale rischio di depressione, o addirittura di suicidio, associato al loro impiego. E questo studio dimostra che utilizzare insieme questi farmaci aumenta il rischio di depressione e suicidio.
Una constatazione inquietante, visto che al 15% degli adulti americani, che assumeva in contemporanea 3 o più di questi farmaci, è stata diagnosticata qualche forma di depressione, rispetto al 5 per cento di quelli che non utilizzavano alcuno di questi farmaci ‘attenzionati’, al 7% di quelli che ne assumeva solo uno, al 9% di quelli che ne prendevano due in contemporanea.
Risultati simili sono emersi per i farmaci che annoverano il rischio suicidario tra i potenziali effetti indesiderati.
L’associazione, magari inconsapevole (i farmaci possono essere prescritti da specialisti diversi che non dialogano tra loro), di più farmaci può portare a sintomi di depressione. Medici e pazienti devono quindi essere consapevoli di questo rischio. Anche perché molti di questi farmaci sono disponibili come medicinali OTC.
Molti potrebbero essere sorpresi dall’apprendere questo rischio visto che molte di queste molecole non hanno nulla a che vedere con disturbi d’ansia, dell’umore o con altre condizioni abitualmente associate alla depressione.
La prescrizione di farmaci a potenziale rischio depressivo è passata dal 35% del 2005-2006 al 38% nel 2013-2014. La sola prescrizione di antiacidi e PPI, con elencata la depressione tra i potenziali effetti indesiderati, nello stesso periodo è aumentata dal 5 al 10%; e quella di associazioni di più farmaci (polifarmacia) è passata dal 7 al 10%.
Anche più inquietanti le notizie sul fronte dei farmaci a potenziale rischio suicidario, il cui impiego è passato dal 17 al 24%; l’associazione di due o più di questi farmaci nello stesso periodo è passata dal 2 al 3%.
La gente non solo assume sempre più questi farmaci, ma li prende spesso in associazione. Pochi di questi farmaci hanno però delle etichette di warning; ciò significa che al momento, essere consapevoli dei rischi, è lasciato all’iniziativa del paziente e del medico. Saranno certo necessari ulteriori studi mirati per arrivare ad aggiornare i software sulla safety dei farmaci così da riconoscere la depressione come uno dei possibili rischi delle interazioni farmacologiche. Questo consentirà ai professionisti della salute, farmacisti compresi, di notare subito se un paziente sta assumendo vari farmaci in grado di aumentare questi rischi.
Altra possibile ricaduta clinica sarà quella di includere l’anamnesi farmacologica nello screening per depressione e negli strumenti diagnostici proposti dalla U.S. Preventive Services Task Force, soprattutto nel caso delle forme di depressione refrattarie al trattamento.
La depressione è una delle principali cause di disabilità negli Usa e i tassi di suicidio stanno aumentando di anno in anno; è necessario dunque ripensare in maniera innovativa alla depressione come problema di salute pubblica. Questo studio dimostra che è necessario considerare i pattern di utilizzo dei farmaci nelle strategie volte ad eliminare, ridurre o minimizzare l’impatto della depressione nella vita quotidiana.