I servizi sanitari ed il cambiamento di domanda di salute

I servizi sanitari ed il cambiamento di domanda di salute

La sanità pubblica deve essere adeguata al cambiamento di domanda di salute, d’altra parte la evoluzione tecnologica dell’offerta, con i suoi costi elevati, rappresenta un pericolo per la sostenibilità del nostro servizio sanitario nazionale. In tal senso organizzare gli ospedali in rete clinica è una possibile soluzione alla difficile sostenibilità economica del sistema pubblico. L’ospedale si riorganizza in relazione al base del bacino di utenza, con strutture ospedaliere dialoganti ed integrate, unite tra di loro in rete. Il notevole cambiamento demografico, già peraltro avvenuto, ha modificato i bisogni di salute della gente, oggi strettamente collegati all’aumento vertiginoso della popolazione anziana. Aumentando l’aspettativa di vita infatti è più presente il fenomeno della non autosufficienza e la cronicità,con esposizione a numerose malattie croniche invalidanti. Nelle nostre comunità, quindi, alle malattie acute ed infettive si sostituiscono quelle croniche e le degenerative, che richiedono una presa in carico specifica con servizi sanitari in rete ,prevalentemente di prossimità nel senso di quanto più possibile vicini al luogo di vita del malato. L’ospedale moderno dovrà differire da quello del passato sia sul piano organizzativo che dei servizi resi,con tecnologia sempre più avanzata, in grado di procedere a diagnosi e terapia, usando attrezzature sofisticate.

Le malattie oncologiche prima mortali, ora si sono trasformate, nella maggior parte dei casi, in malattie croniche, per cui l’ospedale riduce la sua attività di degenza,mentre aumenta l’attività diagnostico curativa non più in classico regime di ricovero, ma con tempi abbreviati di degenza e con passaggio delle fasi successive alla diagnosi al territorio, che ha il compito di liberare l’ospedale da attività non più proprie, creandosi una organizzazione extra ospedaliera in grado e capace di rispondere ai bisogni reali dei cittadini.

Occorre costituire di conseguenza, fra ospedale e territorio, una rete di servizi, con i piccoli ospedali che potranno esistere solo in certi contesti territoriali, per svolgere un ruolo di stabilizzazione di malati urgenti, inserendosi tuttavia in una rete più vasta ed organizzata dell’emergenza urgenza.

La rete ospedaliera di base dovrà essere presente in certi contesti territoriali, laddove necessario, per garantire un primo accesso ed un primo intervento, dopodiché il malato dovrà in maggiore sicurezza essere trasferito nell’ospedale più idoneo al caso.

Non può essere sottaciuto che il pronto soccorso in atto rappresenta in realtà, per le persone fragili, il metodo più facile di accesso al sistema sanitario sia per la sua disponibilità h24 che per il ruolo simbolico che ad oggi svolge, secondo la nostra comune cultura, anche in considerazione del fatto che viene considerato il posto in apparenza più sicuro dove recarsi per soddisfare, senza lunghe attese, le ansie ed i bisogni percepiti di salute.

In questo contesto gli anziani, fragili e complessi, con le loro concomitanti patologie, arrivano di frequente in pronto soccorso. A causa della mancata presa in carico, da parte del sistema sanitario pubblico, ne consegue frequentemente un inevitabile e non appropriato ricovero.

Una soluzione a tale problema può essere affidare la responsabilità della degenza ai medici di famiglia, trasformando l’ospedale in ospedale di comunità, così come già sperimentato in altre sedi, con buoni risultati. D’altra parte in alcuni presidi ospedalieri vi sono nel pronto soccorso triage con assegnazione del malato al sistema ospedaliero o territoriale in relazione ai singoli casi. Si tratta in questo caso di cambiare la prospettiva e consentire al territorio di entrare in ospedale.

Aumentando sempre di più l’età dei malati e le comorbilità, la medicina ospedaliera, in verità, necessita più che di specializzazioni mediche, di medici internisti o generalisti, che abbiano un approccio di tipo olistico ai problemi. In pratica il medico internista in questi ospedali diviene coordinatore di varie attività specialistiche, che esercitano una consulenza, se richiesta. Tale figura ritenuta necessaria negli Stati Uniti, viene definita Hospitalist.

Per quanto riguarda la attività chirurgica dei piccoli ospedali, dovrebbe essere riorganizzata per essere eseguita solo con breve ricovero, con modelli organizzativi di cui uno a bassa intensità programmata ed uno di pochi giorni definito week surgery. La chirurgia ad alta intensità di cure andrebbe svolta nei centri di riferimento con forte integrazione fra le reti cliniche ospedaliere.
Necessaria nella riorganizzazione la riduzione dei centri nascita con sufficiente numero di parti. Vi è poi un secondo livello per le gravide a rischio, allo scopo di garantire qualità ed appropriatezza.

Si deve ridurre la medicalizzazione del parto e della gravidanza. La pediatria per quanto concerne le patologie minori devono andare al territorio,mentre nei casi complessi e diagnosi più difficili ci vuole l’ospedale con il reparto specializzato.

Con le reti ospedaliere integrate fra di loro e il territorio si potranno ridurre i costi con importanti economie di scale per acquisti, con la condivisione di strumentazione. Le reti devono cooperare e condividere i percorsi,non devono essere in competizione.

La organizzazione fra primo e secondo livello (spoke ed hub) è un buon metodo per efficientare il sistema, tuttavia ancora non è maturata in tal senso la cultura per cui la rete ospedaliera non è rete, ma risulta essere sovradimensionate e frammentata, con parcellizzazione dell’offerta.

Per garantire l’accessibilità a tutti occorre lavorare in rete ospedaliera. Si entra nel sistema e poi si va’ attraverso un percorso clinico, collegato in rete ,alla giusta intensità di cura.
Si dovrà passare quindi da un modello competitivo ad uno che è cooperativo.

Domenico-Grimaldi