Cassazione Civile: revocato l’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne che rifiuta un’offerta di lavoro

Cassazione Civile: revocato l’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne che rifiuta un’offerta di lavoro

Secondo le norme del codice civile, al termine di un giudizio di separazione o di divorzio, il giudice può disporre che il coniuge più abbiente versi al coniuge meno abbiente un assegno di mantenimento in favore dei figli. Ciò vale non soltanto nel caso in cui questi siano minorenni, ma anche nel caso in cui questi siano maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, quindi incapaci di provvedere autonomamente al proprio sostentamento.

È l’art. 337 septies del codice civile a prevederlo espressamente al primo comma: “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”. Questi ultimi godono, dunque, di un vero e proprio diritto al mantenimento, al pari dei figli minori d’età.

Ma quali condizioni devono sussistere perché tale mantenimento possa essere ottenuto e conservato?

La Cassazione è recentemente intervenuta sul punto, delineando i limiti di tale diritto. Con ordinanza n. 22314 del 25 settembre 2017 la Sezione Civile della Suprema Corte, confermando una sentenza di merito, ha stabilito che il versamento dell’assegno di mantenimento è giustificato solo dalla impossibilità o dalla difficoltà da parte del figlio maggiorenne a trovare una fonte di autosostentamento. Se, poi, lo stesso rifiuta un lavoro concretamente offertogli, può vedersi revocato l’assegno di mantenimento da parte del genitore separato/divorziato.

Si legge nell’ordinanza che “l’obbligo del genitore separato o divorziato di concorrere al mantenimento del figlio perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta”. Perché il figlio maggiorenne possa conservare il diritto al mantenimento è, dunque, necessario che l’assenza di un lavoro e, conseguentemente, di un’autonomia economica non siano il frutto di una sua scelta né siano determinate da sua colpa.

È un principio ormai consolidato in giurisprudenza, che impone l’onere della prova a carico del genitore obbligato al mantenimento.

Sembra che i Giudici di Piazza Cavour siano stati mossi da un ben preciso intento: sollecitare i giovani (forse non più tanto giovani) a rimboccarsi le maniche ed a cercare un mestiere che sgravi i genitori dal protrarre il loro mantenimento. Il concetto è chiaro: non si tratta di una rendita vitalizia.