PALERMO – Il primo maggio del 1947, nei pressi della Piana degli Albanesi, vicino Palermo, durante la Festa del Lavoro, alcuni banditi spararono sulla folla e uccisero 12 persone, ferendone più di 30.
In quella circostanze si compì la strage di Portella della Ginestra: per molti, il primo grande mistero dell’Italia repubblicana.
I colpi, come si seppe in seguito, furono sparati da Salvatore Giuliano, il leggendario bandito di Montelepre, protagonista del dopoguerra criminale in Sicilia e dalla sua banda; non si è mai saputo, invece, il movente di quell’eccidio, chi lo abbia ordinato e chi abbia coperto le indagini successive.
Sul movente dell’eccidio furono formulate alcune ipotesi già all’indomani della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro dell’Interno, Mario Scelba, affermò che dietro all’episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere considerato un fatto circoscritto.
Il processo si concluse nel 1953 con la conferma della tesi che gli unici responsabili erano Giuliano (ucciso il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e i suoi uomini, che furono condannati all’ergastolo.
La strage si inquadra anche in un contesto più strettamente politico: alle elezioni di pochi giorni prima per l’Ars, il Blocco del Popolo (Psi e Pci) aveva conquistato 29 deputati contro i 21 della Democrazia cristiana. Le raffiche di mitra si protrassero per circa un quarto d’ora: a terra, fra le vittime, rimasero anche tre bambini.