CATANIA – “Gli standard europei prevedono un vigile del fuoco ogni 1.000 abitanti, noi siamo uno ogni 15.000!“.
Un dato importante e che non può lasciare indifferenti, quello che commenta l’Usb (Unione Sindacale di Base) vigili del fuoco a seguito di un reportage condiviso in diversi canali d’informazione online. Il sunto del discorso si racchiude in una sola frase: in Sicilia, e nel dettaglio a Catania, la situazione strutturale e di risorse umane legata ai pompieri è assai delicata.
Si parte da una base: “È ormai popolare la cronica carenza di personale operativo di vigili del fuoco, che affligge tutte le province della Sicilia e, in particolare, quella etnea. Per collegamenti e traffici più agevolati, Catania è al centro di grossi problemi gestionali del soccorso tecnico urgente”.
L’Usb, anche a livello nazionale, si era già mosso in precedenza per cercare di portare, su tavolo nazionale, il problema nostrano. Spiegare la realtà operativa del comando catanese non è cosa semplice, viste le condizioni in cui versa: a partire dalle strutture, “vecchie e senza fondi, la manutenzione è quasi zero. Mettendoci anche che le sedi sono ubicate nel distretto Sud, zona ad alto rischio sismico”.
Bisogna tener conto, inoltre, di un ipotetico sisma come quello che si è verificato nel Centro Italia il 29 ottobre scorso. Nel caso in cui, infatti, dovesse verificarsi un evento del genere, “pure le stesse macchine dei soccorsi non sarebbero pronte. La risposta, purtroppo, è categorica. Rischiamo un default del soccorso, qui in Sicilia”.
La nostra terra è stata definita ad alto rischio ambientale, sismico e vulcanico: l’attuale situazione di carenza di mezzi, e specialmente di personale, in una città come Catania che è la terza per numero di interventi pro capite in Italia, non passa inosservata.
Catania, tra l’altro, è molto complessa a livello di insediamenti industriali di terziario avanzato e anche per la presenza del terzo aeroporto più trafficato d’Italia, l’aeroscalo di “Fontanarossa“. Messa in ballo anche la metro: “La sua apertura – commentano dal sindacato – ha messo in evidenza i nostri limiti gestionali, poiché in caso di ipotetico intervento, non sappiamo nemmeno come doverci muovere!”.
“La verità è che siamo i precari del soccorso, quando invece dovremmo essere noi i primi ad aiutare i cittadini. Ci viene limitato anche l’ingresso in aeroporto, ai soccorritori addirittura il divieto di entrare. Non bisogna sottovalutare tutti questi fattori” concludono.
Chiudendo da dove si è partiti, lo standard europeo prevede ben altri numeri. La domanda è: quanto è necessaria una calamità naturale per rendersi conto della situazione?