CATANIA – Edilizia in Sicilia, un tema che a partire dal secondo dopoguerra ha rivestito un ruolo importante nell’ambito dell’opinione pubblica e anche oggi continua, seppur a fasi alterne, a far discutere. Negli anni del boom economico nella nostra isola si assistette a una crescita esponenziale in ogni luogo, con costruzioni nuove che hanno allargato a dismisura le nostre città, dalle più grandi alle più piccole.
Tutto ciò costituì un vero e proprio segnale di benessere per la società di allora, ma ha anche annidato alcune problematiche, venute fuori negli anni ’90, quando ebbe inizio la crisi del settore.
Un elemento, quest’ultimo, che fece per certi aspetti anche da apripista alla crisi economica del nostro paese e che ha stimolato molte riflessioni. In primis ci si chiede se esistono gli spazi per mettere in piedi costruzioni nuove, oppure se si debbano ristrutturare gli edifici preesistenti, rivitalizzando così i centri storici delle città. Un’altra questione importante è se gli edifici siano adeguatamente resistenti, soprattutto in caso di evento sismico. In questo senso Catania presenta, in diverse zone periferiche, edifici costruiti utilizzando materiali friabili e ha il più alto rischio sismico d’Europa.
Un altro importantissimo aspetto è quello relativo all’abusivismo, con costruzioni erette in zone ricadenti in riserve naturali o addirittura su aree umide. Nella nostra isola abbiamo tanti esempi, come la cementificazione della Conca d’Oro a Palermo, alcune costruzioni vicino Catania, di recente demolite, sia nella parte sud della città che nella zona C del Parco Dell’Etna. Infine, quelle di Licata, decisione che ha sollevato molte polemiche. I dati dell’ultimo decennio parlano chiaro: il numero di imprese edili è passato da 34 mila nel 2008 a 21 mila nel 2016. Calo che si registra anche per l’occupazione nel settore, in quanto quelle con molti dipendenti sono poche.
Una panoramica a 360 gradi del problema ce la dà il presidente dell’Ance, Associazione Nazionale Costruttori Edili, di Catania, Giuseppe Piana, che abbiamo sentito, in merito prima di tutto alla crisi che “devasta” ormai da tempo il comparto. “La crisi del settore edile, che continua da oltre 7 anni, ha comportato un fortissimo ridimensionamento di questa attività economica – spiega Piana –. A Catania i dati della Cassa edile mostrano una contrazione del monte salari pagato agli operai edili di circa il 60% dal 2009. Questo vuol dire che, se prima il totale del salario annuo erogato agli operai era pari a 100 euro, adesso è pari a 40 euro. Non è una recessione, è un baratro che incide anche sul nostro tessuto imprenditoriale con oltre 5 mila imprese di costruzioni che in Sicilia sono fallite o sono state costrette a chiudere. Anche sul fronte dei lavori pubblici, che speravamo potessero fornire ossigeno al settore, grazie agli ingenti fondi europei e agli investimenti infrastrutturali programmati, i dati dell’ultimo Osservatorio dell’Ance regionale descrivono una situazione ancora preoccupante. Non è più possibile attendere per aprire i cantieri e per attuare una politica che stimoli l’avvio di un processo di rigenerazione delle nostre città”.
Riguardo al futuro e alle opportunità di rilancio del settore, però, la volontà non manca e, in tema di prevenzione antisismica, qualche buona notizia viene dalla recente creazione del progetto #CataniaSicura. La rigenerazione urbana è un’altro tema che viene monitorato, soprattutto da un punto di vista economico e in termini di sicurezza degli immobili. E in questa direzione mira la richiesta delle agevolazioni fiscali Sismabonus. “Ance Catania ha fortemente voluto la costituzione di una task force per la prevenzione antisismica – continua Piana –, il cui obiettivo è trovare soluzioni operative per fronteggiare l’allarmante problema del rischio sismico. Stiamo parlando del tavolo #CataniaSicura, che vede coinvolti tutti gli attori della filiera edile della città, come amministrazione pubblica, istituzioni universitarie, ordini professionali e protezione civile. È fondamentale, infatti, una strategia comune sulla messa in sicurezza del capoluogo etneo, oggi al primo posto nella lista delle città più pericolose d’Italia, soprattutto alla luce di un atteso evento sismico che metterebbe letteralmente in ginocchio il nostro territorio, con una previsione di crollo di circa l’80% del patrimonio edilizio e oltre 160 mila vittime tra morti e feriti. Sono al vaglio del gruppo di lavoro diverse soluzioni tecniche, perché vogliamo intervenire in una logica di prevenzione e non di ricostruzione. La rigenerazione e il rinnovamento degli edifici esistenti rappresenta il futuro dell’edilizia. Le condizioni strutturali di molti immobili impongono una riflessione sulla necessità di procedere alla loro completa sostituzione. Tra gli incentivi noti come “Sismabonus” è stata a tal fine introdotta anche la possibilità di detrarre fino all’85%, per un massimo di 96 mila euro, del costo di acquisto di case antisismiche derivanti da interventi di demolizione e ricostruzione. È un’utilissima e potente misura di stimolo economico che consentirebbe l’avvio del tanto auspicato processo di rigenerazione urbana, sia in termini di efficienza che di sicurezza. Tuttavia Catania, nonostante sia la città con il più alto rischio in Europa, è ancora classificata in zona 2 e, dunque, paradossalmente non rientra tra le aree che possono usufruire di questa agevolazione fiscale. Per questa ragione abbiamo chiesto ufficialmente al ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti di prevedere una deroga per la nostra città”.
La protezione degli edifici storici va di pari passo con la lotta all’abusivismo edilizio, che negli ultimi tempi, nella provincia etnea, ha visto ottimi risultati, anche se resta molta strada da fare. “L’Ance è contraria a ogni forma di abusivismo e la nostra associazione ha collaborato con la procura della Repubblica di Catania per la demolizione di alcuni edifici costruiti in area protetta – conclude Piana -. Non è una questione che riguarda solo la nostra provincia, è un problema regionale e nazionale su cui spesso si è voluto soprassedere. L’obiettivo, oltre a correggere gli scempi del passato, è evitare con ogni mezzo, grazie anche alle moderne tecnologie di monitoraggio del territorio, che si realizzino nuovi abusi. Occorre una strategia lungimirante, che punti al consumo zero di suolo, attraverso la predisposizione di strumenti di pianificazione che favoriscano la riqualificazione del territorio, la messa in sicurezza degli edifici e la tutela del patrimonio edilizio storico”.