La stagione autunnale è quasi al termine e si respira aria di inverno e di caldarroste per le strade. Ormai è tempo di pantofole e plaid, seguiti da una buona tazza fumante di camomilla pronti a degustarci il fine settimana accoccolati al divano di casa, davanti ad un bel film.
Io ho appena finito di vedere “La pazza Gioia”, film del 2016, diretto da Paolo Virzì, che anzi, ne approfitto per consigliarvi. Alla fine del film qualche lacrima è scappata sulle note del brano “Senza fine” che cantava una giovane voce nel 1960. Era Gino Paoli.
Ricordo che, in una frizzante serata di agosto, lo vidi per la prima volta esibirsi live in concerto a Zafferana Etnea. Lui era serio, sicuro di sé, circondato da un’aurea di nube: fumava tra un brano e l’altro e parlava liberamente al suo pubblico, spiegando in tono ironico, che su ordini del medico doveva farlo, altrimenti la tosse non sarebbe andata via. In comune con Paoli abbiamo il fatto di essere nati a settembre, lui esattamente il 23 del 1934.
Vi immaginereste mai un Gino Paoli facchino? Oppure grafico pubblicitario, pittore. Ebbene sì. Nella sua vita di attività ne ha svolte tante ma a quanto pare l’unica che indossasse bene era quella del cantante. Forma così un gruppo musicale fatto di quei pochi amici che condividevano con lui la passione per la musica: Luigi Tenco e Bruno Lauzi.
Nel 1960 realizza “La gatta sul tetto”, pezzo rigorosamente autobiografico: parlava, infatti, della sua soffitta sul mare dove viveva.
Ma Gino Paoli non è solo un cantante, ma è anche quel cantautore che ha scritto alcune tra le più belle pagine della musica italiana di questo secolo.
Successi come “Sassi”, ”Me in tutto il mondo”, “Che cosa c’è” e persino “Sapore di sale” scritta in riva al mare nelle splendide spiagge Siciliane di Capo d’Orlando, dove gli arrangiamenti sono del grande Ennio Morricone.
Ormai lo squattrinato pittore è un cantante famoso e farà il giro del mondo la notizia della pallottola che ha quasi perforato il suo petto attraversando il cuore e rimanendo lì per sempre, quasi come un souvenir.
Capace di emozionare sempre, Gino Paoli nei suoi brani affronta argomenti legati alla democrazia, diversità, alla libertà: “I semafori rossi non sono Dio” e “Il mio mestiere” del 1977.
Ma Paoli è anche quel cantautore che coi suoi brani da voce all’amore, dando vita ad un espressione musicale rivoluzionaria che mira ad esprimere sentimenti e fatti di vita reale con un linguaggio semplice, creando una forma d’arte a tutti gli effetti: “Una lunga storia d’amore” 1984 e “Averti addosso”.
Gli anni ’90 segnano l’ingresso di un brano che farà storia e che a tutt’oggi è possibile leggere sull’insegna di un locale: “Quattro amici al bar”. Col singolo “Un altro amore” partecipa alla 52° edizione del festival di Sanremo ottenendo un grande successo di critica e di pubblico, confermandosi autentico protagonista della scena musicale.
Nel settembre del 2004 in occasione dei loro compleanni, uscirà l’album “Ti ricordi? no non mi ricordo…” in duetto con Ornella Vanoni, l’amore impossibile della sua vita.
Nell’arco della sua carriera Gino Paoli ha lanciato altri artisti come il clarinettista Lucio Dalla, un misterioso Fabrizio De Andrè e coinvolto altri a lavorare con lui, da Patty Pravo a Franco Battiato.
Una cosa è certa. Gli artisti “usa e getta” di oggi, fatti, non più di quella sana e pura gavetta, ma di tecnologia e tatuaggi che raccontano le loro storie, per la gran parte dei casi rischiano di essere meteore e sparire nel nulla, mentre siamo convinti che la carriera di un artista come Gino Paoli, che ha fatto la storia della musica, sarà davvero senza fine…