Il mese di settembre è ormai arrivato e con esso molti sono già rientrati dalle vacanze, altri partono verso mete dove il sole ha già posteggiato, le scuole riaprono e i lidi hanno già chiuso da un po’ affiggendo nei portoni azzurri come il cielo d’estate la loro frase di conforto del ”Ci vediamo l’anno prossimo”.
Ci avete fatto caso? Fa ormai buio prima e a breve sposteremo le lancette dell’orologio un’ora indietro. Le giornate saranno più lunghe, quelle d’inverno. Rientro a casa e mille pensieri pervadono la mia mente. Osservo il cielo. Stasera è variopinto coi suoi colori, dà uno spettacolo e le stelle sono le artiste della serata. Metto un disco e parte un sax, un vibrafono accompagnati da un pianoforte e una voce che sa di un tempo ormai lontanissimo, una di quelle voci che fa vibrare corpo e cuore, quella di Eleonora Fagan conosciuta da molti come Billie Holiday.
Siamo a Filadelphia, il 7 aprile del 1915 nasce una delle artiste jazz e blues più grandi di tutti i tempi. Pensate che in quel periodo era la fame che si pativa, oggi ben altro e la voglia di riscatto nel credere di “essere” era davvero tanta. Abbandonata dalla madre ancora in fasce, la sua vita travagliata e dolorosa non l’hanno distolta dal’obbiettivo di raggiungere la sua evoluzione più grande.
Trovò lavoro come ballerina in un night ad Harlem ma ci fu un momento magico in quell’occasione. Quando la sentirono cantare capirono che quella ballerina era sparita dietro a quella voce misteriosa e carismatica che nascondeva dentro. “Si imponeva per la sua voce intensamente drammatica ,per la capacità di volare sul tempo e per l’emozione che sapeva trasmettere sui testi banali”. E’ così che la descrisse il suo produttore John Hammond che credette subito in lei, innalzandola a diva.
Billie fu la prima artista di colore ad esibirsi con artisti bianchi. Certo doveva usare l’ingresso riservato a quelli di colore come lei e restare chiusa in camerino sino all’esibizione ma niente e nessuno le impedì nel 1939 di cantare “Strange fruit” davanti a milioni di persone “diverse da lei”, almeno questo era ciò che si pensava. Parlava di un uomo nero ucciso per mano dei bianchi sfidando le discriminazioni razziali.
Registrò eccellenti incisioni come “Embraceable you” nel 1944 , ”God bless the child”, ”Lover man” e la bellissima “Summertime”. Nel 1954 andò in tourneè in Europa e solo una volta fu in Italia, a Milano dove il pubblico le tributò una vera ovazione. Non si era mai sentita da nessuna parte una voce così carica di emozioni e di vibrazioni capaci di riuscire a far cedere il passo ad una lacrima.
Si spegne in un giorno di calda estate, il 17 luglio del 1959, stroncata dall’abuso di droghe che, da quando la madre morì senza darle neanche un cenno di saluto, non l’avevano più lasciata e circondata solo dalle uniche “amiche” che erano state le ultime a starle vicine: la solitudine e la depressione.
Nel corso della sua carriera ha influenzato diversi artisti che si rifanno a lei da Janis Joplin a Nina Simone. Persino Diana Ross la interpretò in un film a lei dedicato: “The lady blues”; gli U2 le dedicarono “Angel of Harlem” e Lou Reed le dedicò una delle sue più intense canzoni “Lady Day”. Durante lo show Billie era solita portare una gardenia tra i capelli, che divenne poi il suo tratto distintivo. Nella simbologia dei fiori la gardenia assume il significato di sincerità la stessa con cui Billie guardava la vita, quella stessa sincerità che trasmette la sua voce immortale anche dopo la morte.
Barbara Gricoli