Conoscere e combattere la Blue Whale: cosa succede nella mente delle giovani vittime?

Conoscere e combattere la Blue Whale: cosa succede nella mente delle giovani vittime?

CATANIA – Nasce come un gioco, ma non lo è. Perché la vita non può e non deve essere un gioco. Stiamo parlando della Blue Whale, l’assurda challenge che a partire dalla Russia si sta diffondendo in modo davvero preoccupante in tutto il mondo e sembra che abbia già ucciso 157 ragazzini tra i 9 e i 17 anni.

Per partecipare si devono seguire 50 regole, una al giorno, che comprendono prove di puro autolesionismo che lentamente portano il “giocatore” in un vortice, una profonda depressione, fino all’ultima regola, l’ultimo giorno, il suicidio. Per farlo ci si deve buttare dal palazzo più alto della città mentre qualcuno riprende la scena con il cellulare. Tutte le prove ovviamente devono essere svolte in segreto, senza farsi scoprire, pena la tortura e la morte dei genitori.

Sembra peggio di un film horror ma, purtroppo, stavolta è pura realtà. Non è chiaro come questo gioco abbia potuto coinvolgere tanti ragazzi, adescati su internet, sobillati e minacciati dai “curatori”, le menti malate che amministrano questo gioco. Uno di loro è stato recentemente arrestato e ha freddamente spiegato di voler “ripulire la società dagli scarti biologici”. Un vero e proprio olocausto dei nostri tempi.

Per capire cosa spinge questi ragazzi a buttar via la vita in questo modo, ad autoinfliggersi una tortura del genere, abbiamo intervistato la dottoressa Valentina La Rosa, che si occupa di psicologia clinica e psicoterapia a Catania.

“Non è la prima volta che si sente di questi fenomeni di massa che spesso coinvolgono gli adolescenti – spiega la dottoressa -. Quella adolescenziale infatti è una fase estremamente delicata, in cui il ragazzo cerca di costruire una propria identità, cercando di allontanarsi dalla famiglia. È una condizione di fragilità che va a braccetto con un’eccessiva esposizione alle nuove tecnologie e a una società sempre più nichilista, che ha perso i suoi valori e in cui nulla ha più significato. Tanto è vero che durante l’adolescenza si manifestano la maggior parte dei disturbi psicologici, ad esempio quello alimentare. I responsabili di questo massacro sfruttano questa sensibilità e questa fragilità per ingannare il ragazzino e dargli l’illusione di dimostrare la propria forza e di definire la propria identità”.

Sembra addirittura che le giovani vittime fossero prese come modello dai compagni o dagli amici che le incitavano a continuare il “gioco” e le ammiravano. Quanto potrebbe aver influito il desiderio di essere “accettati” dal gruppo, tipico degli adolescenti?

“Come abbiamo detto, l’adolescente fa fatica a trovare un’identità e si identifica nel gruppo. Ciò lo rassicura e lo fa sentire importante, una persona che partecipa, e questo conferma il proprio valore. Per questo motivo gli adolescenti cercano di omologarsi. Per un ragazzo è importante avere dei riferimenti forti, soprattutto nella famiglia che deve essere sempre presente e li deve far sentire sicuri di sè”.



I genitori delle vittime hanno raccontato che i propri figli sembravano felici, solari, spensierati e che per loro sono sempre stati presenti, svolgendo insieme tante attività e non trascurandoli mai. Com’è possibile che non si siano accorti di nulla? Se erano ragazzi felici, con una vita tranquilla, come hanno fatto a cadere vittima di questo gioco infernale?

“Si tratta di ragazzi che sono fragili ma non lo danno a vedere. Anche quando sembrano tranquilli ci sono sempre dei segnali. Questa eccessiva tranquillità diventa una vera e propria maschera per nascondere un tormento interiore. È difficile che un ragazzino di quell’età non mostri alcun segno di ribellione o di fragilità. Spesso subentra anche un meccanismo di difesa dei genitori che cercano di darsi una giustificazione“.

L’autolesionismo è una pratica diffusa tra i giovani?

“È un fenomeno abbastanza frequente in età adolescenziale, ma può essere sia un modo per ricevere attenzioni che un modo per scaricare l’angoscia e tutto ciò che li tormenta. Credo che il fenomeno del Blue Whale appartenga più al secondo caso. È un modo per chiudersi in se stessi ed è sintomo di un profondo malessere interiore”.

Cosa possono fare i genitori per stare vicini ai propri figli e scongiurare qualsiasi pericolo?

“Il mio consiglio è di non lasciarli soli, soprattutto con le nuove tecnologie, fargli capire che in loro hanno un punto di riferimento, qualcosa su cui poter contare. Attenzione però, non deve essere una presenza invadente, o si allontaneranno. A volte anche l’amplificazione di questi fenomeni, attraverso i media, internet, la televisione, porta all’emulazione. È assolutamente necessario prendere le distanze da questo fenomeno”.