CATANIA – In Italia, ma in particolar modo nella sua parte meridionale, compresa la nostra isola, negli ultimi quindici anni ha fatto spesso discutere un materiale molto pericoloso, l’amianto. Questo minerale, ricavato dalla fusione di altri composti chimici come silicato di magnesio, calcio e ferro, fino a pochi anni fa era considerato quasi “innocente” in quanto era molto utile per la copertura e coibentazione di case e palazzi.
Ma le diverse vittime che col passare del tempo ha mietuto in quanto facilmente inalabile hanno portato diversi paesi europei a vietarne l’uso, anche dal punto di vista legislativo. Tra i casi più eclatanti che abbiamo avuto nel nostro paese quello di Casal Monferrato negli anni ’50 fino a quello più recente dello stabilimento Ilva di Taranto. Nella nostra isola le aree più a rischio sono quelle dei poli petrolchimici di Gela, Milazzo e Priolo, quest’ultimo in misura maggiore negli ultimi anni, ma non mancano altri casi.
La denuncia presentata nel 2014 da parte dei dipendenti del Laboratorio Chimico dell’Agenzia Dogane di Catania relativa al biennio 2011/13, accolta dal tribunale di Catania e discussa ieri pomeriggio durante una conferenza stampa, fa riferimento a uno di questi. A ciò si aggiunge anche la problematica riguardante il mancato adempimento alla legge da parte dello Stato.
A questo proposito abbiamo sentito Calogero Vicario, coordinatore regionale dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che ha precisato come il problema sia molto più atavico di quanto molti possano pensare, ma ci svela anche altri particolari: “I costi bassissimi e la presenza di polveri sottili hanno indotto sempre a farne uso. La malattia derivante da esposizione fu riconosciuta come tale dall’I.N.A.I.L. nel 1943, mentre quarant’anni dopo, nell’83, la Comunità Europea mise l’amianto al bando. In Italia però le lobby che lo mischiavano con il cemento si sono sin da subito opposte e la procedura d’infrazione arrivò nel ’92 con la legge 257 con due anni di proroga per la totale rimozione dagli stabilimenti. Grazie a essa si arrivò anche all’approvazione di un bonus per i lavoratori che avevano almeno 10 anni di esposizione. Ma ciò non servì a risolvere il problema in quanto per strada, nelle officine, nelle cabine ferroviarie e nelle tubazioni degli ospedali continuò a essere presente. Nella Sicilia orientale un esempio è l’uso della Fluoroedenite nelle cave di Monte Calvario, vicino Biancavilla, ancora molto utilizzata nell’edilizia”.
Infine, riguardo alla prevenzione delle malattie da esposizione e la salvaguardia dei lavoratori, puntualizza: “Gli effetti dell’esposizione si vedono a lungo termine e la sorveglianza sanitaria dev’essere costante con visite regolari. Questa, oltre alla sua rimozione dai manufatti e alla sua inertizzazione, è una delle soluzioni per tentare di risolvere il problema. La legge in Sicilia – conclude – è passata nel 2014 grazie al contributo di Pippo Gianni e del coordinatore nazionale, l’avvocato Bonanni. Abbiamo istituito anche l’Albo Regionale dei Lavoratori esposti all’amianto e un centro di riferimento per la sorveglianza sanitaria all’ospedale Muscatello di Augusta”.