CATANIA – Da una parte il “branco” che carica a testa bassa, dall’altro la folla che assiste senza opporsi.
Sono le due facce dell’episodio che vi abbiamo raccontato ieri grazie alla segnalazione di una nostra lettrice che, unica eccezione, ha agito contro un gruppo di minorenni che avevano preso di mira un loro coetaneo.
Per andare alla radice del fenomeno della violenza di gruppo, abbiamo interpellato la dott.ssa Valentina La Rosa, psicologa e psicoterapeuta di Catania: “Vari studi di psicologia sociale lo dimostrano ampiamente: quando un individuo si trova in un gruppo vive una sorta di ‘depersonalizzazione’, è come se si sentisse deresponsabilizzato. Questo accade perché il gruppo costituisce un’identità a sé che permette al soggetto di non dover fare i conti con vincoli morali, scrupoli e sensi di colpa”.
“Essendo inserito all’interno di un gruppo, quindi, – prosegue la dott.ssa La Rosa – il soggetto si trova quasi autorizzato a compiere degli atti che da solo non compirebbe mai, proprio perché viene meno una sorta di controllo morale sulle proprie azioni”.
In sostanza il gruppo rappresenta una protezione per il singolo individuo che, però, una volta isolato e messo di fronte alle sue responsabilità non può far altro che assumere coscienza del proprio operato.
A rientrare in questa tipologia di episodi, sono anche i fenomeni messi in atto allo stadio da parte degli ultras, come sottolinea la psicologa: “Sono delle masse disorganizzate, o che si riconoscono in un’identità molto forte, come la tifoseria nel caso degli ultras. Per quanto riguarda gli adolescenti, invece, l’elemento di coesione è l’essere coetanei e condividere gli stessi interessi. In entrambi i casi, questa vicinanza porta ad annullare la propria soggettività e a identificarsi totalmente nel gruppo”.
La dott.ssa La Rosa specifica che “il gruppo dei pari in adolescenza esiste e fa parte delle cosiddette ‘agenzie di socializzazione’: il confronto con i coetanei è un modo per consentire all’adolescente di costruire una propria identità autonoma rispetto alla famiglia. In questi casi, però, si viene a creare il branco perché sono molto spesso dei ragazzi quotidianamente a confronto con violenza e aggressività (basti pensare ai videogiochi), e con un certo stile educativo molto lassista nel quale tutto è concesso, dove non esiste più spazio per il rifiuto e per la proibizione. Questi ragazzi pensano che tutto sia possibile, che non esistano limiti, e per questo si spingono fino a livelli estremi”.
Una libertà di agire che trova terreno fertile se, dall’altra parte, chi assiste ad episodi di violenza reagisce con indifferenza. “Anche questi fenomeni sono stati studiati dalla psicologia sociale – spiega la psicologa –: si tratta di diffusione della responsabilità, vale a dire si è convinti che interverrà qualcun altro e quindi non è affar nostro. Vari esperimenti sociali lo dimostrano: quando le persone assistono ad episodi di questo tipo, tendono a farsi indietro perché convinti che, non essendo i soli a osservare la scena, prima o poi qualcun altro interverrà. Si tratta ancora una volta del fenomeno di deresponsabilizzazione di cui parlavamo prima”.
La soluzione al dilagante fenomeno del “branco” esiste. Secondo la dott.ssa La Rosa occorre “intervenire ad ampio raggio sulle ‘agenzie educative’ (la famiglia e la scuola), affinché ritrovino quel ruolo forte di guida e di supporto nell’educazione delle giovane generazioni. Anche la scuola, infatti, si trova a doversi confrontare con delle trasformazioni e dei cambiamenti che le hanno fatto perdere autorità dal punto di vista educativo. Quotidianamente noi psicologi ci occupiamo di progetti nell’ambito scolastico sulla prevenzione del bullismo e dell’aggressività spesso, però, non abbiamo risorse, non abbiamo spazi. Anche la figura dello psicologo scolastico sarebbe importante ma è completamente ignorata, sottovalutata, come lo è in generale la figura dello psicologo, che ancora oggi fatica a trovare spazio. Bisogna prevedere delle figure specifiche che possano seguire i giovani nel loro percorso educativo. Lo psicologo scolastico ne è un esempio, ma sono necessari anche il supporto alle famiglie, programmi di prevenzione, una maggiore sensibilizzazione a livello sociale. Serve un’attenzione maggiore alla cultura del benessere psicologico, alla prevenzione, al supporto alle agenzie educative nel percorso di sviluppo delle giovani generazioni altrimenti questi episodi saranno sempre di più all’ordine del giorni”.